Non sappiamo se tra magistratura e governanti stavolta le nubi minacciose lasceranno spazio al sereno. Ma ci sono alcuni indicatori che lasciano ben sperare. Il ministro Nordio, tirato per la giacchetta da varie parti, ha scelto la linea della prudenza. Lancia segnali distensivi, vuole smontare l’immagine che alcuni avevano dato di lui, come di una sorta di angelo vendicatore che dismessa la toga avrebbe impugnato la spada salvifica della riforma per rimettere in un angolo i suoi ex colleghi. Aver addirittura posticipato un eventuale intervento sulla separazione delle carriere a dopo la modifica costituzionale -tempi biblici- è un indicatore della gradualità con cui il Governo vuole intervenire sui nodi più scottanti della giustizia.
La sintonia necessaria col Quirinale
Su questi temi la sintonia di Palazzo Chigi col Quirinale è indispensabile. Non solo per il ruolo istituzionale di Mattarella, ma anche per la personalità del Capo dello Stato che in materia ha mostrato un paziente equilibrio, ribadendo in ogni occasione l’autonomia dei magistrati ma anche il loro dovere di essere e sembrare lontani da bramosie che inquinano e offendono il loro ruolo costituzionale. Giorgia Meloni sa benissimo quanto sia rischiosa una politica di scontro con i magistrati. Una guerra che non ha mai dato frutti positivi per nessuno dei due fronti. E che, se si ripetesse oggi, darebbe il colpo di grazia alla credibilità sia dei magistrati che dei politici, quelli di governo in particolare.
Cambiare toni, metodi e sostanza
E allora bisogna cambiare toni, di metodi e di sostanza. I politici smettano di descrivere i giudici in blocco come se fossero un partito o un’accozzaglia di correnti di un partito. La politica non ipotizzi congiure ad ogni stormir di avviso di garanzia. Ma poi c’è il metodo. Toghe e governanti devono percepirsi e trattarsi non come controparti ma come soggetti che la Costituzione obbliga a collaborare, nei ruoli distinti ma con l’unico fine di assicurare ai cittadini norme e comportamenti che soddisfino il più possibile la sete di giustizia e il rispetto della dignità della persona. Infine c’è la sostanza. Essa riguarda i contenuti della riforma e la corretta amministrazione della giustizia. Ci possono essere idee diverse. Se ne deve discutere sapendo che sono idee e non dogmi, senza scatenare guerre di religione. Alla fine, però, tocca alla politica decidere, ma solo dopo aver dialogato intensamente con la magistratura che ha il diritto di dissentire ma non di bloccare scelte che spettano a Governo e Parlamento. Finora poco o nulla di tutto questo è successo. Quindi non possiamo che essere ottimisti.