Il caro vita incide ancora sulle abitudini degli italiani: tornano i piatti tradizionali della cucina “povera” sul 73% delle tavole italiane per mangiare bene salvando le tasche, proponendo piatti non elaborati con ingredienti agevolmente reperibili e non particolarmente costosi. È quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Censis su ‘La guerra in tavola’ diffusa in occasione dell’apertura del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, organizzato dalla Coldiretti con la collaborazione dello studio The European House – Ambrosetti a Villa Miani a Roma, dove è stata apparecchiata la prima tavola della cucina povera con piatti e ricette che hanno reso grande la cucina italiana e rappresentano l’architrave della sua candidatura a patrimonio dell’Unesco.
Tradizione rivalutata
Si combattono così i rincari in tavola, con ricette che non sono solo una ottima soluzione per non gettare nella spazzatura gli avanzi, ma aiutano anche a non far sparire tradizioni culinarie del passato secondo una usanza molto diffusa che ha dato origine a piatti diventati simbolo della cultura enogastronomica del territorio come, rileva la Coldiretti, “la ribollita toscana, i canederli trentini, la pinza veneta o al sud la frittata di pasta”. “È un modo di cucinare”, aggiungono da Coldiretti/Censis, “che fa parte di una tradizione orale trasmessa di generazione in generazione all’interno delle famiglie e che ha beneficiato di una vera e propria rivitalizzazione, grazie al rinnovato interesse per la cucina degli ultimi anni, divenendo dei veri e propri scudi contro l’inflazione per evitare ogni downgrading nella qualità del cibo messo in tavola”.
Taglio agli sprechi
L’indagine Coldiretti/Censis su ‘La guerra in tavola’ diffusa in occasione dell’apertura del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, rivela come a risentirne è il menu di oltre 1 italiano su 3, con il 35% dei cittadini che affronta la spesa quotidiana adottando strategie che vanno dalla gavetta in ufficio al taglio degli sprechi fino alla preferenza accordata ai prodotti italiani, riuscendo nella maggior parte dei casi a garantirsi la qualità di quanto mette nel piatto. Un’abitudine che accomuna tutte le classi di occupati dai dirigenti (porta il pranzo fai da te il 50,5%) agli impiegati e insegnanti (55%), dai dipendenti esecutivi (62%) fino al 63,9% dei lavoratori atipici.