mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Attualità

Anziani, non solo investimenti per il loro benessere

Secondo l’Onu, la quota della popolazione mondiale di età pari o superiore a 65 anni aumenterà dal 10% nel 2022 al 16% nel 2050. In quella data il numero di persone over 65 in tutto il mondo sarà oltre il doppio del numero di bambini sotto i 5 anni. In Italia la vita media attesa è risalita a 82,5 anni, con un recupero parziale rispetto al 2020 (82,1). Il dato provvisorio del 2022 stima una vita media di 82,6 anni. Gli attuali anziani – almeno in Europa e nei paesi più avanzati – possono essere definiti dei “super” anziani con interessi vastissimi. Secondi i recenti dati del rapporto “Unifying Generations” promosso da “Edwards Lifesciences”, basato su un’indagine condotta su 2.338 italiani, gli anziani sentono la necessità di migliorare le proprie competenze digitali: il 36% afferma che vorrebbe imparare l’utilizzo della tecnologia e dei media digitali. Per chi si ritira dal lavoro, quindi, si aprono praterie di nuove attività. Questo atteggiamento positivo in parte smentisce le opinioni molto diffuse nel mondo antico secondo le quali: “senectus ipsa morbus est”, la vecchiaia è in sé una malattia, (Terenzio); “enim insanabilis morbus est”, è una malattia inguaribile, (Seneca). I demografi Chiara Gargiulo e Giampiero Dalla Zuanna considerano che: “L’incremento del numero degli anziani in Italia è impressionante. Dall’inizio del secolo al 2017, gli ultrasettantenni sono passati da 7 a 10 milioni e, secondo le previsioni del’Istat, nel 2024, cioè l’anno prossimo, dovrebbero diventare 15 milioni”… “per il progressivo ingresso in età anziana dei figli del baby boom nati fra il 1945 e il 1975 (invecchiamento dal basso), sia allo straordinario incremento della sopravvivenza (invecchiamento dall’alto). Gli anziani non autosufficienti attualmente sono 3,8 milioni di persone con i caregiver familiari e gli operatori, che li assistono professionalmente si arriva a 10 milioni di persone coinvolte. Nonostante questa vasta platea, però la legge di Bilancio presentata dal Governo Meloni, purtroppo, limita l’interesse solamente verso le famiglie con bambini e trascura del tutto questa vasta fascia di popolazione. Come noto a marzo scorso, il parlamento ha approvato la legge di riforma (legge 33/2023 – Delega al Governo in materia di politiche a favore delle persone anziane) con ben 26 anni di ritardo dopo la prima proposta presentata nel 1997 dal Governo Prodi I. Nel frattempo, la Germania la varò nel 1995, la Francia nel 2022 e la Spagna nel 2006. L’obiettivo di tutte queste leggi è quello di: adeguare le politiche di welfare al mutamento della società e comprende indicazioni condivise da tempo nel dibattito politico e tecnico, raccogliendo così un diffuso sostegno da parte degli addetti ai lavori. Trai principali obiettivi ci sono: 1) La semplificazione dell’iter che oggi le famiglie devono compiere per ricevere gli interventi necessari (meno burocrazia e meno passaggi tra enti e livelli di competenza); 2) l’attivazione del servizio di assistenza domiciliare. 3) L’innalzamento degli standard di qualità nelle strutture residenziali, 4) la previsione di incentivi economici per chi assume badanti in modo regolare. La riforma, dunque, rappresenta un’occasione unica, una vera e propria rivoluzione in questo settore del welfare. Al momento, la legge di Bilancio non prevede alcuna misura per realizzarla, seppur “in nuce”, disattendendo le proposte della rete delle organizzazioni dell’assistenza degli anziani non autosufficienti. Le 57 associazioni e organizzazioni della società civile unite nel Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, avevano riconosciuto che finalmente nel marzo scorso era stata votata la Legge Delega della riforma dell’assistenza, prevista dal Pnrr e attesa da ventisei anni ed avevano dato atto alla Meloni ed al suo governo di averla approvata; però ora il “Patto dei 57” lamenta che il governo abbia “ignorato dieci milioni di persone” perché la legge di Bilancio appena varata per il 2024 dal Governo, ignora completamente questo ambito del welfare e la legge sulla non autosufficienza, per ora, resta solo una bella dichiarazione di intenti. Sarebbe stato opportuno avviare già “nel 2024 un Piano di Legislatura per attuare progressivamente la riforma” e “iniziare a fornire migliori risposte ad anziani e famiglie e dare sollievo alle loro pressanti necessità, cominciando subito ad operare ciascuno dei principali ambiti del settore: assistenza a casa, strutture residenziali e contributi monetari, con un finanziamento sostenibile per le casse dello Stato, pari a 1,3 miliardi nel 2024”. Ma un’associazione come l’UCID, della quale faccio parte, non può non affrontare il problema della vecchiaia e della non auto sufficienza dal punto di vista della concezione della vita, della famiglia e dell’uomo. Non possiamo limitarci ad una rivendicazione di tipo sindacale. Dobbiamo constatare che c’è un micidiale pregiudizio di carattere ideologico. Ed è il disprezzo se non un odio verso i vecchi, perché i vecchi – si dice – rappresentano i residui arcaici di famiglia, di paternità, di maternità, di figli naturali, l’attaccamento alla casa, ai costumi dei padri ed alle tradizioni. I vecchi hanno il senso della realtà, hanno vissuto in epoche in cui si amava la cultura, l’esperienza, la comunità, sono restii a cancellare la propria identità. Sono contro il pensiero unico ed il politicamente corretto. Ai nostri giorni ci si commuove per la foca in estinzione ed il cane abbandonato, mentre si trascura il nonno lasciato solo a casa. Facciamo appelli per tutti i poveri del pianeta e dimentichiamo le sofferenze di casa nostra, del proprio padre e della propria madre o del nonno. E come i vecchi anche i bambini richiedono cure e attenzioni, sacrifici, perciò non si fanno bambini e si cerca di eliminare i vecchi. Per questo rifiutiamo sia i vecchi che i bambini. Ed allora, per esemplificare, mi piace citare il caso che ha riportato la stampa questa estate: Un uomo di novantadue anni, in Trentino, che fugge da una residenza per anziani. Organizza la sua fuga, percorre vari chilometri a piedi e infine ritrova la sua vecchia casa. Quell’uomo ha dimostrato che un uomo a novantadue anni non è finito, riesce a trovare la strada da solo, recuperare energie fisiche e mentali per costruire e portare a compimento la sua fuga; che la solitudine dei vecchi è assoluta, non c’è Rsa che possa dar loro conforto e assistenza, quando mancano gli affetti e la famiglia; che la voglia di tornare a casa è la voglia di tornare a se stessi, di abbracciare il proprio mondo e il proprio passato. Quanti vecchi come lui sognano di tornare a casa, di fuggire dagli ospizi variamente denominati, anche confortevoli, per riprendere il flusso della vita, concludere la loro esistenza laddove hanno vissuto, patito, gioito, faticato. Quello che ci arriva da questo “vecchio trentino” è un messaggio importante non solo per i suoi coetanei ma anche per noi e per i nostri figli. Un gesto di fierezza e dignità. Sempre questa estate, Marcello Veneziani, in un suo brillante articolo, ha ricordato una poesia di un poeta suo compaesano, che racconta “il tempo in cui le famiglie povere, con tanti figli e poco da mangiare, portavano i loro vecchi ai Cappuccini, l’ospizio in cui s’andava a morire. E un uomo, un padre di famiglia, aveva caricato sulle sue spalle il suo vecchio padre per andarlo a lasciare là, dai Cappuccini. Andava con la morte nel cuore, sapendo di condividerla col suo vecchio padre. A un certo punto, a una salita, si fermò per riprendere fiato ed energia. E in quella pausa il suo vecchio padre disse che tanti anni prima, proprio in quel punto, anche lui con suo padre caricato sulle spalle, si era fermato, per riprendere forza e proseguire il cammino. Dopo averlo ascoltato in silenzio, suo figlio come rinvigorito da una nuova energia caricò suo padre sulle spalle, andando però nella direzione opposta. Suo padre allora gli disse che i Cappuccini erano dall’altra parte, stava sbagliando. E lui rispose, che sarebbero tornati a casa, perché dove si sfamano sei bocche se ne possono sfamare sette”. Questa è l’umanità che vorremmo ritrovare, la famiglia che vorremmo incontrare, la sanità che vorremmo mettere al servizio di chi è diventato vecchio ed ha bisogno di sostegno prima morale che economico.

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