L’inaspettata recrudescenza assunta dagli eventi del vicino Medioriente impone anche alcune considerazioni di natura economica. Il lungo periodo attraversato dal nostro Paese, in un costante susseguirsi di eventi straordinariamente complessi e critici, è tale che, se non fosse per la drammaticità che lo caratterizza, potrebbe apparire addirittura grottesco. In primis, la nota pandemia che ha incominciato a flagellare l’Europa nei primi mesi del 2020. Se il nostro solare spirito mediterraneo ha saputo andare oltre, l’economia ha mantenuto alcuni evidenti strascichi, per gli elevati costi sopportati. Puerili rimedi domestici, consistenti in improbabili incentivazioni alla viabilità su velocipede, in banchi scolastici rotati, nonché, in quell’immensa, sprovveduta, voragine delle ristrutturazioni edilizie, hanno, casomai, aggravato la situazione.
Messa alle spalle l’emergenza sanitaria, ai primi tenui sussulti di rilancio dell’economia, non molto distante dai nostri con- fini, tra due stati per noi amici, divampa un fuoco, covato da anni sotto la cenere nell’indifferenza comune dell’Occidente. Sono i primi mesi del 2022, e gli analisti occidentali tranquillizzavano l’opinione pubblica sulla tenuta delle nostre economie occidentali, mentre i politici ipotizzavano un conflitto delineato alla stregua di una “guerra lampo”. A volte, anche i nostri governi atlantici, sono tentati ad abusare di quella sfacciata attitudine a giocare con la propaganda interna, denotando non poca memoria storica. Già i francesi, con Napoleone, ed i tedeschi, con Hitler, si erano fatti raccontare che la partita con Mosca sarebbe stata giocata alla stregua di una breve passeggiata di salute, e tutti sappiamo come andò a finire.
Oggi, dopo quasi venti mesi di guerra, nei quali, giorno dopo giorno, siamo stati costantemente notiziati di un’imminente entrata delle truppe ucraine in Mosca, il conflitto ci sembra sempre più consolidato nei termini di una “guerra di logoramento”, la cui trincea sembra però delinearsi più vicino all’altra capitale, con conseguenti impegni finanziari per l’Occidente, tanto imprevedibili, quanto onerosi. Prendiamo occasione, allora, per fare alcune considerazioni idonee per apprezzabili giudizi di coerenza con la realtà storica. Diceva un famoso stratega cinese, che il trionfo massimo sul nemico, lo si ottiene quando si vince senza bisogno di combattere. Sembra che quella lezione, i suoi nipotini di oggi, dimostrino di averla appresa assai bene. Infatti, la Cina, prudentemente presente in ognuno dei contesti sopracitati, mai presa “con le mani nel sacco”, assume sempre condizioni di vantaggio economico sui mercati internazionali.
Ma anche alcuni nostri “alleati atlantici”, si dimostrano promettenti discepoli: e con la guerra “per procura”, hanno dimostrato di superare il maestro.Omettiamo in questa sede di approfondire oltre, rimettendoci alla libera congettura del lettore più arguto, ma cercando di intuire chi pagherà il conto. Tuttavia, corre l’obbligo anche di una seconda considerazione: oggi le guerre, si ingaggiano per “tornaconti economici” e si combattono anche con “strumenti economici”. Dagli effetti più o meno riusciti di queste manovre, certamente “belliche”, anche se propriamente “militari”, si generano reazioni collaterali che colpiscono tutti i mercati degli stati in guerra e dei loro alleati, potendo gene- rare in essi gli effetti distonici propri di una così detta “economia di guerra”. Il corollario di pretese ideologiche, di sussulti nazionalistici, o di levature patriottiche o religiose, sono solamente lo strumento di una propaganda per la “distrazione” di massa.
In una definizione piuttosto ampia, un’“economia di guerra” è caratterizzata dall’adeguamento di un intero sistema produttivo nazionale allo sforzo bellico, con ripercussione implicita su diverse tematiche, che vanno dall’adeguamento industriale, all’energia e agli sviluppi che direttamente impattano sulla spesa pubblica e sui consumi. Pertanto, nella contingenza di un conflitto di lunga durata, può evolvere la prospettiva di un rallentamento economico, accompagnato da forte inflazione.
Ora, è evidente che il nostro Paese non sia formalmente impegnato in alcuna belligeranza diretta, e per questo, forse, il Presidente del Consiglio Draghi, nel marzo del 2022, ha negato che ci si trovasse in economia di guerra, pur manifestando adeguate preoccupazioni.Tuttavia, come si fa a non coglierne i segnali, nell’evidenza dell’attuale rallentamento economico del nostro Paese, caratterizzato da un innalzamento del tasso d’inflazione, dal rialzo smisurato dei prezzi dell’energia, dei beni di consumo, e della spesa pubblica, possibili effetti dei costi di una guerra combattuta per procura? Si valuti bene, quindi, l’illimitato credito di fiducia, concesso ad uno dei contendenti, in conseguenza dell’alleanza atlantica, di cui non si discute il merito, ma di cui occorre avere credibili prospettive circa termini e saldo finanziario, consapevoli del fatto che l’impatto che i venti di guerra arrecano ai mercati finanziari, sulla sortita delle diverse fasi del conflitto, danno poco margine di manovra alle politiche finanziarie adottate dalle banche centrali nelle azioni correttive all’inflazione, non avendo esse grande capacità di controllo sulla volatilità di azioni ed obbligazioni e sui mercati internazionali delle materie prime.
Atteso tutto quanto sopra esposto, alla luce della recente recrudescenza di una ferita mai sopita nell’area dei rapporti israeliano-palestinesi, occorre che il Governo si ponga utili interrogativi anche sui possibili sviluppi economici, conseguenti a quest’ultima tensione internazionale. In ogni caso, a chiosa di questa serie di quesiti, suggeriamo di propendere per una significativa certezza: per il nostro Paese, che non ha motivi ideologici per parteggiare per un cittadino russo, o per uno ucraino; per un israeliano, o per un palestinese; per un cinese, per un indiano, o per chicchessia, la scelta politica internazionale migliore è quella di adoperarsi sempre e solo per promuovere la pace tra le nazioni, favorendo il benessere di tutti i contendenti, agevolandone il dialogo e l’amicizia, nel rispetto delle diverse identità e dei diversi interessi economici. Un compianto Presidente del Consiglio, in questo, si era rivelato anche lui un vero “maestro”, a cui non sarebbe sbagliato, si ispirassero i “nipotini” di oggi.