Il 55% degli elettori australiani ha votato “no” al referendum per il riconoscimento degli aborigeni e delle isole dello Stretto di Torres nella costituzione del Paese. Le riforme avrebbero anche creato un organo consultivo per valutare le leggi che colpiscono le comunità indigene e contribuire ad affrontare la profonda disuguaglianza sociale ed economica. Nonostante il sostegno del governo di Centrosinistra del paese, la campagna del “sì” era rimasta bloccata nei sondaggi d’opinione per mesi, e molti si aspettavano una sconfitta. Il Vice Primo Ministro, Richard Marles, ha riconosciuto la sconfitta nelle prime ore della serata. Nonostante i sondaggi pre-referendum indicassero la debacle, gli indigeni australiani hanno espresso rabbia e angoscia per il fatto che la maggioranza bianca avesse rifiutato le richieste di fare i conti con il sanguinoso passato coloniale del Paese. “Si tratta di un risultato molto duro”, ha dichiarato il direttore della campagna Yes23 Dean Parkin. “Abbiamo fatto tutto il possibile. Ora partiremo da questo”. A più di 230 anni da quando le prime navi penali britanniche ancorarono a Sydney, il Primo Ministro Anthony Albanese aveva proposto le riforme come un passo verso la riconciliazione razziale. Invece, ha scatenato un dibattito profondamente rancoroso e con sfumature razziali che ha messo in luce un divario tra il popolo delle Prime Nazioni e la maggioranza bianca. I sondaggi hanno costantemente dimostrato che gli elettori, la maggior parte dei quali sono bianchi, collocano le questioni indigene in fondo alla lista delle priorità politiche. Nei giorni precedenti il voto, l’attenzione dei media si è concentrata tanto sugli eventi in Medio Oriente quanto sul dibattito politico interno. La campagna dell’opposizione aveva abilmente incanalato i timori, incoraggiando le persone, in caso di incertezza, a votare “no”.