Secondo quanto emerge dalla prima “survey nazionale sulla Telemedicina in ambito ambulatoriale privato” presentati in Luiss dall’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza della Fondazione Bruno Visentini insieme con l’Istituto Superiore di Sanità e il fondo sanitario integrativo Fasdac, Il 58% delle strutture sanitarie private ha dichiarato di non fare Telemedicina e di non essere interessata a offrire questo servizio nel prossimo futuro, a fronte di un 13% che ha dichiarato di farlo e di voler continuare a sviluppare la propria offerta. L’indagine, che per la prima volta in assoluto ha sondato il rapporto tra gli operatori privati e la Telemedicina, è stata condotta su oltre 300 strutture sanitarie private e private convenzionate SSN distribuite sul territorio nazionale ed ha fatto emergere alcuni dati spesso allarmanti ed a volte inaspettati.
Complessità organizzativa e caro costi
Indagando le principali cause identificate come ostacoli allo sviluppo della Telemedicina emergono: la “complessità organizzativa” dichiarata nel 24% dei casi, la “scarsa propensione o collaborazione del personale sanitario” dichiarata nel 15%, seguiti dalla “onerosità in termini economici” al 9%. Se si guarda alle sole strutture di grandi dimensioni che erogano più di 50.000 prestazioni ambulatoriali all’anno, la “onerosità in termini economici” diventa il problema più rilevante a parimerito con la “complessità nell’applicazione della normativa GDPR”, che si attestano entrambe a quota 17%.”Questa ricerca è molto importante sotto diversi profili. Per la prima volta studiamo la Telemedicina nella sanità privata. Iniziamo a conoscere il livello di maturità tecnica e organizzativa nella realizzazione di servizi privati. Esploriamo con metodo la propensione e la fiducia dei professionisti privati nell’attuazione della Telemedicina condotta nel rispetto delle norme nazionali. Tutte conoscenze che dovremo sviluppare per poter promuovere il cambiamento in maniera condivisa”, sottolinea Francesco Gabbrielli, Direttore del CNT-ISS.