Presentato il “Manifesto” per la promozione dei “trial clinici” in Italia da parte della Federazione della Associazioni dei Dirigenti Internisti (Fadoi). Di fatto si tratta di raccomandazioni e suggerimenti che la Federazione offre alle “istituzioni e al mondo della ricerca per rendere la dimensione della ricerca clinica in Italia più efficiente, competitiva, e sempre più in grado di rispondere alle esigenze e alle aspettative di pazienti e cittadini.” Fadoi riporta i dati dell’ultimo Rapporto (2023) dell’Osservatorio sulle Sperimentazioni Cliniche: nel triennio 2020-2022, come negli ultimi 5 anni, il numero degli studi risulta stabile nel range 650-700 (663 nel 2022), con un picco di 818 studi per l’anno 2021, dato ritenuto “anomalo” e probabilmente effetto delle dinamiche legate alla pandemia. Nel complesso l’Italia investe poco nella ricerca, scrive Fadoi nell’introduzione del Manifesto; appena l’1,5% del nostro Pil contro la media Ue del 2,1%; un gap di circa 11 miliardi l’anno. Inoltre, dati provenienti dai Comitati etici indicano che il 28,6% delle sperimentazioni interessano l’interventistica sul farmaco. Rispetto alle altre tipologie di studi, le più frequenti sarebbero le ricerche osservazionali non su farmaco (36,9%), mentre gli studi osservazionali su farmaco rappresentano una quota del 12,4% e le sperimentazioni interventistiche sui dispositivi pesano per il 4,8% delle valutazioni dei Comitati Etici (16,1% per “altri studi” e 1,2% per “valutazioni varie”).
In 10 anni dimezzati i trial
“Briciole” in confronto ai 1000 miliardi di dollari che le grandi aziende farmaceutiche investiranno nel settore entro il 2025. Di questi, dice la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, nel nostro paese, i trial clinici no profit in dieci anni, dal 2009 al 2019, sono diminuiti del 51%; se ne conducono ogni anno 4,6 ogni 10mila abitanti mentre in Germania sono 5,6, in Spagna e Francia 6, in Gran Bretagna 6,8, in Olanda 16,7, per non parlare del record danese fissato a 25,5 (fonte: EudraCT). Inoltre in base al report periodico diffuso da European Medicines Agency (EMA) e aggiornato al 30 Giugno 2023, l’Italia si trova al quarto posto fra i Paesi europei per numero di applications di nuovi studi secondo Clinical Trials Regulation a partire dal 31 Gennaio 2022 (data di effettivo inizio di applicazione del Regolamento Europeo), dopo Spagna, Francia e Germania, e all’ottavo posto come Reporting Member State (il Paese cioè che fa da riferimento principale per una sperimentazione). Nello specifico settore della ricerca clinica, le analisi prodotte negli scorsi anni da Farmindustria e SDA Bocconi riportano che gli investimenti per la ricerca clinica sono almeno per il 90% di provenienza privata, con spese che per le Aziende Pharma ammontano a circa 750 milioni di euro l’anno (il 90% dal privato) tanto quanto gli Stati Uniti spendono solo per la ricerca oncologica.
Investire e semplificare
Dunque servono più finanziamenti e più risorse umane: la cronica carenza di personale medico e infermieristico da impiegare nei trial clinici non è ancora superata. Anzi molti tra coloro che vi sono dedicati non hanno un adeguato inquadramento professionale ed economico definito, “tanto che alcuni sono inquadrati come personale di segreteria.” Infine un grande ostacolo è la burocrazia: negli ultimi otto anni si sono affastellati una ventina di provvedimenti normativi, mentre, ad esempio, in Spagna un solo decreto di 42 pagine ha regolato l’intero settore. Ad appesantire il tutto intervengono inoltre le norme sulla privacy che, secondo la Fadoi, “trasformano in una impresa la gestione dei dati clinici; basti pensare che per gli studi osservazionali retrospettivi, nei quali i dati delle cartelle cliniche vengono aggregati in modo anonimo e quindi non riconoscibile, il Garante della privacy chiede di norma l’autorizzazione specifica di ciascun paziente; anche per dati vecchi di anni.” Il rapporto pubblico-privato stenta poi a decollare per una resistenza di carattere ideologico a condurre ricerca in partnership e per via di una farraginosità normativa che rende “faticoso scambiare ricercatori e personale, come avviene invece nei paesi anglosassoni.”
Anche i pazienti penalizzati
Più penalizzata sarebbe proprio la ricerca indipendente no profit, che se nel 2018 si attestava al 27,3% del totale delle sperimentazioni condotte in Italia, l’anno successivo ha avuto una contrazione al 23,2%. “Una ricerca nella quale tra l’altro il 90% degli investimenti che ne consentono lo svolgimento è sostenuto da privati”, afferma Gualberto Gussoni, direttore scientifico di Fadoi. Un problema, sostengono gli esperti perché gli studi indipendenti rispondono a esigenze meno stringenti rispetto a quelle di mercato e possono portare a scoperte in ambiti che solitamente suscitano minore interesse negli investitori privati. Inoltre è stimato che ogni euro versato all’ospedale o all’istituzione scientifica per la sperimentazione clinica dai promotori profit genera un utile netto per l’ospedale di 0,5 euro e un risparmio per il Sistema sanitario nazionale di circa 2,5 euro grazie alla fornitura gratuita di farmaci. Per non parlare del fatto che ogni anno in Italia circa 40mila pazienti affetti da patologie gravi, come tumori, malattie ematologiche e cardiovascolari, partecipando ai trials possono beneficiare con anticipo anche di anni dei trattamenti innovativi, con maggiori possibilità di guarigione e di miglioramento della qualità di vita.
Le raccomandazioni
Il Manifesto, sottoscritto da una settantina di associazioni e fondazioni nell’ambito sanitario e della ricerca, suggerisce alcune raccomandazioni: limitarsi a un solo parere di un Comitato etico valido su base nazionale per tutte le tipologie di studi; maggiore uniformità della documentazione necessaria all’autorizzazione degli studi; la creazione di un’unica Agenzia nazionale della ricerca che possa assolvere a competenze oggi suddivise fra le diverse istituzioni dello Stato; una quota fissa del fondo sanitario nazionale per il finanziamento della ricerca no profit; il reinvestimento in ricerca clinica degli utili conseguenti alle sperimentazioni; la promozione della ricerca tra i criteri di valutazione dei DG delle Aziende Ospedaliere e Aziende Sanitarie Locali; il rafforzamento delle infrastrutture digitali nei centri di ricerca e il riconoscimento e la diffusione di figure professionali a supporto delle ricerca.”