Quando La Discussione venne fondata da Alcide De Gasperi nel 1952, l’età mediana del nostro Paese era di poco inferiore ai 30 anni[1]. Oggi, invece, si attesta sui 44 anni. Un cambio macroscopico che, in poche parole, ci consegna un Paese invecchiato rapidamente e che, in prospettiva, lo sarà ancora di più: secondo lo scenario mediano elaborato da Istat, in Italia gli anziani con 65 anni o più, che già oggi rappresentano poco meno di un quarto dell’intera popolazione residente, nel 2050 saranno più di un terzo[2].
Ciò, al di là delle conseguenze economiche e sociali, avrà senz’altro ripercussioni politiche. Il dibattito pubblico, del resto, non può non tener conto di chi lo ascolta e di chi vi partecipa, in particolare attraverso l’esercizio del voto. E se più di un terzo della popolazione non è giovane, bensì molto probabilmente già pensionato, difficilmente lo sguardo di partiti e forze che partecipano alle elezioni saranno le politiche giovanili, le politiche per l’occupazione, le politiche per la casa, ecc.
Il rischio cui ci troviamo davanti, già urgente oggi e sempre di più nel futuro, è quello di escludere completamente la fascia più dinamica e creativa del nostro Paese, quella composta dai giovani, dalle decisioni che si ripercuotono sulla nostra quotidianità. Non solo perché i giovani saranno sempre meno, ma perché, già in questa fase storica, non hanno un’autentica possibilità di incidere nel dibattito pubblico che riguarda anche loro e di concorrere a quello che, in Costituzione, è indicato in modo esemplare come “progresso materiale o spirituale della società”.
Ci troviamo di fronte, infatti, a uno scenario sconfortante, dove il c.d. “divario generazionale” (studiato da anni dalla Fondazione Bruno Visentini), ovvero il gap tra la generazione dei padri e quella dei figli ha raggiunto una dimensione preoccupante e mai verificatasi prima. Una ricerca di Eures, in collaborazione con il Consiglio nazionale dei giovani, specifica come meno di un giovane lavoratore su due percepisce una retribuzione fissa mensile e che oltre il 40% del campione di under 35 riceve uno stipendio mensile inferiore a mille euro[3]. Un dato che si affianca a quello relativo al lavoro povero: come confermato da uno studio delle Acli, il fenomeno di lavoratori con un impiego che non è sufficiente a garantire uno stile di vita dignitoso colpisce in particolar modo proprio i giovani[4].
Del resto, sono soprattutto questi ultimi a essere occupati nei settori a bassa qualificazione come il commercio al dettaglio, i servizi e il turismo, maggiormente esposti a paghe ridotte e più vulnerabili alle crisi economiche scatenatesi negli ultimi anni, da quella dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19 a quella legata alla guerra in Ucraina. I progetti di vita dei più giovani, com’è immaginabile, hanno subito un forte shock, in quanto le opportunità di reddito e di lavoro, di realizzazione dei propri piani familiari e dei desideri di fecondità sono state compromesse dall’incertezza e dalla precarietà[5].
Anche l’attività politica di De Gasperi, soprattutto nei primi anni del secondo dopoguerra, ha avuto a che fare con incertezza e precarietà di un Paese, martoriato e fragile, da poco uscito da un conflitto. Eppure, in un famoso discorso del novembre 1950, De Gasperi aveva chiaro l’obiettivo: quello di tenere alta la fiaccola della speranza per i giovani, alimentandone i sogni e garantendo loro un futuro migliore.
Dobbiamo impegnarci per farlo anche oggi, con una prospettiva completamente nuova, che ribalti il nostro punto di vista: l’istituzione di una valutazione di impatto generazionale (VIG) delle politiche pubbliche andrebbe in questa direzione. Grazie a questo strumento, diverrebbe doveroso per il legislatore interrogarsi sui possibili effetti che ogni singolo intervento pubblico potrebbe avere sui più giovani e sulle nuove generazioni e – qui sta la vera sfida! – nell’eventualità che questa valutazione risulti negativa, introdurre dei correttivi a quello stesso intervento o ripensarlo completamente. Quel che è stato fatto sin qui e che ha creato i presupposti per una società altamente polarizzata tra anziani relativamente benestanti dopo carriere lavorative stabili e ben retribuite e giovani impoveriti da lavori precari e scarsamente redditivi, non dev’essere soltanto cambiato, ma valutato e letto con lenti nuove per formulare nuove strategie.
L’obiettivo è quello di reintegrare questa parte della nostra società emarginata e indebolita e farlo al più presto, garantendo ai giovani i diritti di cui hanno goduto i più anziani: da quello al lavoro a quello alla previdenza. Per far questo, servirà anche valorizzare maggiormente il ruolo di una piattaforma di rappresentanza giovanile nazionale come il Consiglio nazionale dei giovani e immaginare una legge quadro sui giovani che introduca un elemento di pianificazione pluriennale degli strumenti a favore dei giovani e razionalizzi le agevolazioni esistenti in un unico testo, aprendo, finalmente, un’altra stagione.
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[1] L’evoluzione demografica dell’Italia, Istat, 1° gennaio 2018, consultato il 5 settembre 2023.
[2] M. Finizio, “Nel 2050 in Italia saranno 5,4 milioni gli over 65 con gravi limitazioni”, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2023.
[3] S. Valente, “Lavoro, Eures: in Italia il 43% degli under 35 guadagna meno di mille euro al mese”, Milano Finanza, 9 agosto 2022.
[4] M. Carucci, “L’emergenza occupazione. Il lavoro povero colpisce donne e giovani”, Avvenire, 28 aprile 2023.
[5] AA.VV., La condizione giovanile in Italia. Rapporto giovani 2021, Istituto Giuseppe Toniolo, Milano, 2021.