La mobilità sanitaria ha ripreso a livelli pre-Covid. Il flusso è sempre da Sud verso Nord e muove una cifra di 4,3 miliardi di euro. Le regioni che spendono di più per pagare le cure dei propri abitanti che vanno verso ospedali del Nord sono Campania, Calabria e Sicilia. Le regioni di approdo sono sempre Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. I dati sono estrapolati dal Fondo sanitario nazionale che complessivamente per il 2023 ammonta a 128,8 miliardi di euro. Il fenomeno della migrazione sanitaria da regione a regione coinvolge circa un milione di persone e il trend si ripete da decenni. Generalmente sono sette le regioni che accolgono più pazienti di quelli che vanno a curarsi altrove e 14 quelle con saldo negativo.
Compensazioni verso Nord
Ogni anno le regioni definiscono la cosiddetta “compensazione”, cioè in base a questi saldi negativi o positivi si riconoscono reciprocamente i costi sostenuti per le prestazioni ricomprese nei Livelli essenziali di assistenza e rese a cittadini in territori diversi da quelli che hanno ottenuto il finanziamento pro-capite. Secondo i dati 2022 su 21 fra Regioni e Province autonome, 14 spendono più di quanto incassano. Invece le restanti 7 incassano saldi positivi per le prestazioni rese ai residenti da altre regioni.Lombardia (550 milioni), Emilia Romagna (407) e Veneto (176). La migrazione sanitaria proviene in particolare da Campania (-277 milioni), Calabria (-273) e Sicilia (-206). Fra le realtà che incamerano di più c’è anche l’ospedale pediatrico Bambino Gesù (246 milioni) e l’Acismom (42 milioni). Tutte le altre regioni sono in passivo. Dopo Campania, Calabria e Sicilia ci sono, in ordine di spesa, Puglia (-177 mln), Lazio (-161 mln), Abruzzo (-97 mln), Liguria (-94 mln), Sardegna (-73 mln), Basilicata (-69 mln), Marche (-44 mln) Umbria ( -16 mln), Valle d’Aosta (-10 mln), Friuli Venezia Giulia (-8 mln) e Piemonte (-8 mln).
Illegittimo limitare la mobilità
Sul fenomeno è da sottolineare una recente sentenza del Consiglio di Stato (aprile 2023) secondo la quale è “illegittimo limitare la mobilità interregionale solo per perseguire un contenimento di spesa” che, in realtà, appare come un “falso problema” rispetto al fondamentale obbligo di garantire uniformità nei Livelli essenziali di assistenza. Questo soprattutto quando l’utenza extraregionale si muove per prestazioni sanitarie di alta specializzazione, salva vita e di degenza ospedaliera di alta complessità. Non solo, ma secondo i massimi giudici amministrativi, includere le prestazioni extraregionali nel budget annuale massimo di spesa sanitaria finirebbe per “comportare un sacrificio troppo elevato per i pazienti residenti in regioni nelle quali le strutture sanitarie esistenti non garantiscono gli standard qualitativi pari a quelli presenti in altre regioni”; inoltre, “porre limitazioni alla mobilità interregionale, senza porre rimedio alle sperequazioni esistenti nella distribuzione territoriale delle strutture sanitarie di eccellenza per la cura di tali patologie, implica l’adozione di una misura che viola il principio di proporzionalità, finendo per comprimere, in modo eccessivo e irragionevole, il legittimo interesse del paziente a ricevere la migliore cura per la propria patologia”.