La famiglia tradizionale – in un continuo divenire – oggi sta vivendo una fase di disgregazione, di stordimento e di contestuale svuotamento di valori individuali e collettivi. I rapporti interpersonali, specie tra i giovani, sembrano spesso negoziati come pura merce di scambio, con la legge del più forte o del branco, con l’annullamento totale o parziale della capacità di (re)agire della figura più debole, immancabilmente della donna, con danni gravi e duraturi, per le devastazioni psico-fisiche quasi paragonabili all’attuale fenomeno del dissesto idrogeologico e climatico dei territori, la cui colpa è pur sempre attribuita all’uomo, egoista e senza scrupoli.
I valori della vita si stanno affievolendo e perdendo di consistenza, sciogliendosi, lentamente, come i ghiacciai; i rapporti familiari si stanno sgretolando sempre più, creando un totale caos come quando si sfalda un pezzo di montagna e precipita rovinosamente su un edificio seminando morte e disagi o su una strada di strategica importanza ostruendone il passaggio.
Sono davvero numerosi gli episodi sconvolgenti, in tutta la Penisola – dei quali se ne è persa la conta, anche per il loro grado di efferatezza, con allarmante facilità, con tecniche e modalità scioccanti, senza il minimo freno inibitorio, pudore, rispetto o umana pietà – afferenti i delitti di femminicidio, di stupro e di violenze sessuali, noncuranti della severità delle sanzioni penali, e perpetrati, soprattutto, ai danni di giovani donne, di cui la maggioranza in ambito familiare, spesso volontari o premeditati.
È preoccupante rilevare che tali fenomeni si annidano in una fascia sociale sempre più giovane, spesso ad opera di minorenni ed anche cresciuti in ambiti familiari di ceto medio alto, nei quali si dovrebbe presumere capacità educative più temprate e più resistenti al logorio delle debolezze esterne, rispetto a giovani di famiglie meno erudite e anche più esposti al contagio di loro consimili in ambienti di periferie, con elevati indici di devianza scolastica e di precarietà strutturali.
La società sta cambiando, come il clima, forse peggio del clima se pensiamo che molti danni a persone o cose derivano, spesso, dalle maldestre attività umane, non rispettando le elementari leggi della natura.
I genitori hanno sempre di più perso, per varie ragioni, il ruolo primario di permanente e continuativa presenza educativa, mentre ai tempi delle famiglie tradizionali un apporto determinante veniva fornito anche da parenti e affini per la loro duratura compresenza e vicinanza con i quali, spesso, condividevano lavori prevalentemente agricoli e reciproche forme di sostentamento. Tra l’altro, i ruoli di padre e madre non venivano mai messi in discussione e la parola chiave era finalizzata ad educare e in tale ruolo, spesso, erano presenti ad integrare od ammorbidire alcuni eccessi o carenze, i nonni da ambo le parti – molti dei quali, per ragioni e motivazioni diverse, oggi proseguono la loro vita in comunità o in case di riposo.
Ora, per effetto non solo della globalizzazione, ma anche della società urbanizzata, acculturata e industrializzata, con l’abbandono delle campagne e il trasferimento in periferici e isolati “casermoni” sono emerse nuove problematiche. Infatti, dopo il periodo di benessere, il soddisfacimento dei bisogni essenziali e l’apparente periodo di progresso, ecco l’apparire delle crisi economiche e della crisi dei valori che la politica è chiamata sempre più a fronteggiare, distribuendo diritti e tutele a un modello familiare destrutturato rispetto a quello tradizionale e completamente superato dalle nuove aperture mentali a un diverso configurarsi, nel tempo e nello spazio, con immancabili lati deboli e vuoti da colmare.
Occorre, infatti, recuperare il ruolo fondamentale di genitori, aiutando e incoraggiando le giovani coppie, dando loro fiducia a mettere al mondo figli, della cui denatalità ormai se ne avverte il vuoto non solo nei reparti maternità e ostetricia degli ospedali, ma nelle scuole dell’obbligo, in quelle superiori e, soprattutto negli asili nido e scuole dell’infanzia. Le conseguenze saranno ancora più visibili nella società nei prossimi decenni.
È proprio la società che sta cambiando e al cospetto si presentano complesse e delicate problematiche quali, da una parte, è appunto la denatalità legata alla difficoltà per i giovani a mettere su famiglia, per carenze o incertezze lavorative e, dall’altra, le difficili procedure di adozione che favoriscono la scappatoia attraverso l’utero in affitto, meglio nota come “maternità surrogata”. In Italia è considerata pratica medica vietata, punita con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro. (Legge n. 40/2004, art. 12, comma 6 e sentenza Corte costituzionale n. 272/2017).
È bene ricordarsi, come spesso si osserva, che tanta acqua è passata sotto i ponti e tanto inchiostro è stato sciupato da quando sono comparsi alcuni malesseri intorno alla famiglia normale, meglio conosciuta come patriarcale, nella quale l’uomo, nelle vesti di marito e, quasi sempre, anche di padre, ne assommava ogni responsabilità, dalla provvista dei mezzi di sostentamenti, alle decisioni gestionali, all’indirizzo educativo e, fino a ieri, anche del cognome.
Occorre arrivare alla sentenza della Corte Costituzionale n.126 del 1968 per cancellare il reato di adulterio da parte della moglie, mentre due anni più tardi, nel1970, abbiamo l’avvento del divorzio a cui seguono nel 1975, con la legge n.151, la grande riforma del diritto di famiglia e l’introduzione nel nostro sistema giuridico della legalizzazione dell’aborto, la famosa ed ancora discussa legge n.194 del 1978. Per abrogare le disposizioni sul delitto d’onore occorre attendere la legge n. 442 del 1981 e, con essa, scompaiono sia le “nozze riparatrici” e sia il “delitto d’onore”.
La famiglia del codice civile e quella dei registri anagrafici non trova pace neanche nella sua definizione giuridica che ha ampliato il concetto per includere legami e situazioni di fatto prima non previsti e, quindi, non tutelati.
Proprio di recente, la Corte di Giustizia Unione Europea (CEDU), non ravvisando alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione, ha condannato l’Italia al pagamento di danni morali e spese legali a favore della parte ricorrente per aver impedito al padre biologico il riconoscimento della propria creatura, nata da maternità surrogata nel 2019 in Ucraina, mediante la trascrizione del relativo atto di nascita nei prescritti registri anagrafici e, per tale motivo, costretta a vivere, per quattro anni, da apolide.