venerdì, 22 Novembre, 2024
Lavoro

Gli infermieri chiedono assunzioni, più formazione e stipendi adeguati

Troppo pochi, pagati meno dei colleghi europei, con un sistema professionale che si fonda su un Regio decreto del 1925. Sono le osservazioni pungenti delle Organizzazioni sindacali degli infermieri che sollecitano una svolta professionale, assunzioni e contratti remunerativi.
“Ora, per i cento anni della nascita della formazione e professionale degli infermieri, l’obiettivo dovrà essere quello del salto di qualità: specializzazioni, sviluppo della laurea magistrale per consentire anche l’accesso più agevole all’area del ‘personale di elevata qualificazione’ previsto dal contratto, riorganizzazione delle docenze infermieristiche”.

Spiega la presidente di Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi) Barbara Mangiacavalli che chiede un intervento del Governo per affrontare anche l’aspetto formativo e la qualità professionale. La mera quantità degli operatori non risolve i problemi dei cittadini e del Ssn, spiega la presidente della Fnopi: “senza infermieri qualificati non c’è salute”.  Lauree a indirizzo clinico
Il ragionamento è questo: la carenza infermieristica non si combatte con iniziative spot. La professione va resa attrattiva riformando il percorso formativo e prevendendo un chiaro sviluppo di carriera.

Nel 2025 si celebreranno i primi cento anni dal Regio Decreto numero 1832 del 1925: la norma che ha istituito in Italia le prime ”scuole convitto per infermieri professionali” , per ufficializzare una figura che, fino a quel momento, era stata costruita su base volontaria, spontaneistica, regolamentata in diverse modalità, senza alcuna uniformità nazionale. Basti pensare che nel 1902 risultavano attive in Italia scuole di formazione solo in 25 ospedali; negli stessi anni nel Regno Unito se ne contavano oltre 500.

Oggi, a quasi un secolo da quella data fondamentale non solo per l’infermieristica italiana, la Fnopi chiede un salto di qualità e vorrebbe dal Governo attenzione alla formazione infermieristica e alle specializzazioni all’interno delle università, con maggiori investimenti per il fondo previsto per sostenere la docenza universitaria e per aumentare il numero dei professori MED/45 (quelli in Infermieristica, appunto). Secondo Fnopi vanno istituite le lauree magistrali a indirizzo clinico e strutturati e meglio adeguati alle esigenze i posti del corso di laurea abilitante e delle lauree specialistiche.

Retribuzioni troppo basse.
I fattori che condizionano l’attrattività delle posizioni lavorative in Italia sono molteplici, ma per i sindacati di categoria. il più importante è la retribuzione, che nel caso degli infermieri risulta del 23% inferiore alla media Ocse. Una situazione che affonda le radici in ritardi che per alcuni versi appaiono cronici. Molte norme sono antiquate.

La carenza di riforme

Ad esempio la professione è nata con il Regio decreto del 1925 fu il primo di molte norme di rilievo storico riguardanti l’infermieristica in Italia, dando valore all’”infermiere specializzato”, definito così già nella legge 1098 del 19 luglio 1940 per la sua ricaduta sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione degli accessi impropri in ospedale. Nel 1954 furono istituiti i Collegi (oggi Ordini) quali organi di tutela professionale, etica e deontologica della professione. Successivamente solo nel 1999 sono stati superati i mansionari, gabbie in cui una professione intellettuale non poteva trovare i suoi sbocchi naturali. Sono state successivamente, osservano le Associazioni di categoria. istituite le lauree e i percorsi universitari, prima triennali, poi anche magistrali seguiti dai dottorati di ricerca, dai ruoli di insegnamento accademico e così via. Quello della formazione, tra l’altro, sembra essere un lavoro da “fare in casa” perché, al contrario di altri paesi, l’Italia fa poco ricorso a infermieri provenienti dall’estero: il personale italiano, infatti, solo per il 4,8% è formato all’estero, a differenza di paesi come la Svizzera che ne ha il 25,9% o il Regno Unito e la Germania; rispettivamente al 15,4% e all’8,9%.

Pochi infermieri per i cittadini Fatto è che, secondo un’indagine Crea sulla carenza di personale sanitario, malgrado le significative immissioni di personale, l’Italia continua a disporre di un numero di infermieri, rispetto alla popolazione, notevolmente inferiore agli altri Paesi europei: 5,7 infermieri per 1.000 abitanti contro i 9,4 della media di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Ne segue che nel Ssn italiano operano 1,42 infermieri per ogni medico, contro i 2,52 dei paesi europei presi come riferimento. Per raggiungere lo standard dei Paesi citati, sarebbero quindi necessari quasi 224.000 infermieri, che diventerebbero oltre 320.000 usando come riferimento la popolazione over 75 (quella più bisognosa di assistenza).

Riforme e assunzioni

Inoltre, nelle conclusioni del Rapporto Crea, si osserva: “se si considera che appare molto difficile potenziare la dotazione organica del territorio mediante mobilità del personale ospedaliero, le stime sul personale complessivo necessario per alimentare l’attività delle nuove (o potenziate) strutture territoriali, restituiscono numeri (a titolo di esempio tra i 40.000 e gli 80.000 infermieri per assolvere i servizi previsti nelle Case di Comunità) che trovano un ostacolo insormontabile nella mancanza di professionisti, peraltro non colmabile nel breve periodo”.

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