Il food delivery in Italia è in una situazione non chiara: il mercato restituisce dati positivi, ma alcune multinazionali chiudono e lasciano senza lavoro migliaia di rider. Forse sta diventando un “mercato maturo” e saturo. Così l’anno scorso Gorillas e quest’anno Uber Eats e Getir hanno gettato la spugna. Sono tre multinazionali che si arrendono: Gorillas è un startup tedesca della spesa a domicilio e lascia senza lavoro 540 persone fra dipendenti, collaboratori e manager.
Era presente a Milano, Roma, Torino, Bergamo e Firenze. La statunitense Uber Eats ha licenziato una cinquantina di dipendenti, ma dava lavoro a oltre 7mila rider collaboratori o partite Iva che non hanno ammortizzatori. L’azienda ha chiuso durante questa estate perché non è cresciuta in modo da garantire “un business sostenibile nel lungo periodo.” Getir, una società turca di consegna spesa a domicilio, si è arresa lasciando a casa una trentina di dipendenti e tanti rider; si stima siano un migliaio.
Centinaia di dipendenti e migliaia di rider che si ritrovano senza un lavoro da un giorno all’altro. Una situazione che si ripete e che i sindacati faticano anche a quantificare.
Intervento dei sindacati
Stime dei sindacati parlano di circa 10mila persone che, tra l’altro, non hanno tutele: “pur perdendo l’attività lavorativa non avranno diritto agli ammortizzatori sociali né ad alcun sostegno pubblico per un’eventuale ricollocazione”, spiega Francesca Re David, della Cgil. Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs, Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp Uil ritengono che queste aziende debbano “assumersi la responsabilità delle loro decisioni anche nei confronti di tutte le persone che da anni lavorano come rider. Chi fino a oggi ha garantito all’azienda incassi e la possibilità di proseguire l’attività commerciale, oltre a venir licenziato, si vede negata ogni possibilità di confronto”.
Un nuovo contratto
A macchia di leopardo si stanno tentando accordi non solo sulla contrattualizzazione, ma anche su aspetti specifici del lavoro, ma i fronti aperti sono tantissimi: dalla manutenzione dei mezzi usati dai rider alla richiesta di adeguamento dei rimborsi per il carburante. Dalla mancata programmazione delle consegne orarie ai rimborsi per l’utilizzo di mezzi propri. E poi ci sono anche i fronti dei bonus consegne, dell’organizzazione del lavoro e delle inefficaci allerte meteo.
Il mercato tra alti e bassi Dopo il boom registrato tra il 2020 e il 2021 la crescita del settore è notevolmente rallentata nel 2022, con un +15% sul 2021; molto lontano dal +87% del 2020 sul 2019. Secondo una recente indagine di Inapp, inoltre, nella ristorazione le commissioni per le consegne affidate alle piattaforme di food delivery superano il 20% per un’azienda su 3, mentre un’azienda su quattro non ha accesso alle informazioni sulla propria clientela. Inoltre la consegna di cibo e piatti pronti a domicilio raggiunge ormai il 71% della popolazione italiana e il ruolo delle piattaforme di food delivery nell’ultimo anno ha rappresentato il 97% del valore totale dei piatti venduti. Solo il 3% proviene dai canali online dei ristoranti tradizionali.
Fatturato di 4.7 miliardi
Lo sviluppo delle piattaforme digitali ha permesso al settore dell’e-commerce alimentare di crescere esponenzialmente tra il 2010 e oggi: mediamente del 39% all’anno. Il fatturato complessivo a fine 2022 si è attestato a 4,7 miliardi di euro grazie soprattutto al food delivery che rappresenta il 44% del valore, seguito da spesa alimentare (37%) ed enogastronomia (19%).
E-Commerce da 34 mld
Oggi l’80% dei consumatori sono raggiunti dai social network, il 60% manifesta un forte interesse per la cucina e il 31% naviga sui social con l’intenzione di scoprire nuovi prodotti da acquistare. L’Osservatorio e-Commerce del Politecnico di Milano sostiene che il valore dell’e-commerce B2C di prodotto tocca i 34 miliardi di euro portando l’incidenza dei consumi online sui consumi totali dal 10% nel 2021 all’11% nel 2022.