Chi comanda in Italia? Il Governo o il Parlamento?
In base alla Costituzione scritta, Senato e Camera hanno un ruolo centrale e primario: approvano le leggi, indirizzano e controllano l’attività del Governo, svolgono attività di inchiesta su materie di pubblico interesse, concedono e revocano la fiducia al Governo. Il Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali, elegge il Presidente della Repubblica; Senato e Camera in seduta comune eleggono 5 giudici della Corte costituzionale e un terzo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura. Nel corso degli ultimi 30 anni il ruolo del Parlamento si è andato sempre più indebolendo e rispetto a ciò che è solennemente scritto nella Carta costituzionale si è andato sostituendo un comportamento che, di fatto, ha fatto perdere peso al Parlamento a vantaggio del Governo.
Vediamo i dati ufficiali della produzione normativa della XVIII legislatura iniziata il 23 marzo del 2018. In quasi due anni sono state approvate 102 leggi (33 leggi di conversione di decreti-legge e 69 altre leggi ordinarie, 39 di iniziativa governativa, 28 di iniziativa parlamentare e 2 di iniziativa mista popolare e parlamentare); 94 leggi sono state pubblicate sulla “Gazzetta Ufficiale”; sono stati inoltre emanati 41 decreti-legge (4 deliberati dal governo Gentiloni, 26 dal governo Conte I e 11 dal governo Conte II), 62 decreti legislativi e 9 regolamenti di delegificazione. Per l’approvazione di 17 delle 102 leggi il Governo ha fatto ricorso, in almeno un ramo del Parlamento, alla posizione della questione di fiducia (in 7 di questi 17 casi la fiducia è stata posta in tutti i passaggi parlamentari).
Andando più nel dettaglio, scopriamo che delle leggi approvate il 2% riguarda la Legge europea, il 2% le leggi collegate, il 6% riguarda quelle attinenti alla materia del bilancio dello Stato, il 36% le leggi ratifica di trattati e accordi internazionali, il 32% le leggi di conversione dei decreti presentati dal Governo e solo il 23% le leggi ordinarie.
In buona sostanza il Parlamento passa gran parte del suo tempo a occuparsi di atti del Governo e pochissimo a valorizzare le leggi di iniziativa parlamentare. Ma c’è di più. Il metodo di approvazione delle norme di iniziativa governativa avviene con procedure che spesso umiliano l’attività parlamentare: si pensi al deprimente spettacolo della legge di Bilancio che viene ormai sempre approvata sulla base di un voto di fiducia chiesto dal governo su un maxi-emendamento composto da un articolo e circa un migliaio di commi, spesso illeggibile, e presentato all’ultimo momento, e senza il tempo necessario per un esame attento da parte delle Camere. E che dire dei decreti legislativi, sempre più numerosi sui quali le Commissioni parlamentari esprimono pareri di cui il Governo non tiene quasi mai conto senza neanche motivare il perché?
Ricordiamo le polemiche di Marco Pannella negli anni Ottanta quando tuonava contro la partitocrazia che colonizzava il Parlamento. Ora che i partiti sono solo comitati elettorali, lo spostamento del potere è tutto a vantaggio del Governo. Ma poiché i governi sono sempre formati da coalizioni litigiose e distratte, gran parte della formazione delle norme avviene nei Gabinetti dei ministeri, ad opera di una qualificata tecnostruttura ma che è pur sempre autoreferenziale e che produce testi che spesso i ministri sottoscrivono senza comprenderli e dominarli adeguatamente. Quando questi testi entrano nelle Camere per essere discussi e approvati, raramente subiscono l’esame attento che per Costituzione dovrebbe avvenire e vengono votati secondo veri e propri diktat del Governo.
Purtroppo il Parlamento assiste passivamente e non reagisce adeguatamente a questo suo svuotamento di ruolo. La prima reazione dovrebbe consistere nella revisione dei Regolamenti di Senato e Camera affinché le modalità e i tempi di esame e votazione delle leggi siano più snelli e consentano al Parlamento di potersi e doversi occupare di leggi di ampio respiro e non solo di leggine e decreti del Governo.
La riduzione del numero dei parlamentari deve essere un’occasione per rivedere radicalmente il modo di funzionare del Parlamento e ridargli i poteri non solo formali ma anche sostanziali che la Costituzione gli affida.
Il Parlamento spesso appare come un luogo dove si perde tempo in chiacchiere non si conclude nulla. È una visione sbagliata, ma non basta lamentarsi. Occorre scrivere le regole di funzionamento delle camere in modo che esse possano diventare il centro propulsore delle decisioni che riguardano i cittadini e non essere solo una tribuna di scontri politici inconcludenti e di passiva ratifica di atti dei governi.