Una diminuzione diffusa dei prestiti alle piccole imprese. È il nuovo fronte di una emergenza che vede protagoniste le piccole e micro imprese sempre più in affanno tra costi di materie prime, inflazione, manodopera introvabile e banche che non fanno crediti e che dirottano gli imprenditori verso le finanziarie. A fare una ulteriore ricognizione sullo stato del credito alle piccole imprese è la Confartigianato che registra una doppia situazione negativa, ci sono imprenditori pronti a gettate la spugna, che accentuano il calo della domanda degli investimenti e, dall’altro, il rialzo dei livelli dei tassi di interesse. Ad aprile 2023 inoltre la Confederazione registra un ulteriore irrigidimento delle condizioni dell’offerta di prestiti alle imprese. La percentuale netta di imprese che riportano difficoltà di accesso al credito, si annota nello studio, nel secondo trimestre 2023 “rimane elevata”.
Stretta che pesa 6.7 miliardi
“La stretta monetaria”, sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli, “rischia di condizionare le prospettive delle nostre imprese. Basti dire che, nell’ultimo anno, le micro e piccole imprese hanno subito un aumento di 6,7 miliardi del costo del credito. I nostri dati mostrano anche un crollo nell’accesso ai finanziamenti bancari da parte delle Mpi. Diminuiscono molto la richiesta di credito a medio-lungo periodo e la spesa per investimenti. Segno che gli imprenditori sono prudenti e in attesa di certezze. Per quanto riguarda il credito di piccolo importo”, puntualizza il leader della Confederazione, “le banche tendono sempre più a spostare la domanda delle imprese verso le finanziarie del credito al consumo, con aggravio significativo dei costi per interesse”.
Nuovo Fondo di garanzia
Altro fenomeno da tenere sotto controllo per la Confartigianato, è il trend dei tempi di pagamento tra imprese che dà segnali di rialzo ed è sintomo di possibile ulteriore aumento della pressione sul fronte dell’accesso al credito. “La situazione va affrontata con una riforma del Fondo centrale di garanzia”, sottolinea Marco Granelli “che deve sapersi adeguare strutturalmente alle mutate condizioni di mercato, cessando di operare ‘in emergenza’ e recuperando la necessaria efficace allocazione delle risorse pubbliche a sostegno delle imprese che incontrano maggiori difficoltà nel rapporto con il canale bancario. Se lo Stato deve impegnare ingenti risorse per garantire un’alta percentuale di garanzia, nell’ordine dell’80-90 per cento, allora diventa ineludibile una adeguata policy pubblica, che Confartigianato sollecita da tempo”, ricorda Granelli, “a supporto delle micro e piccole imprese. Per superare le strettoie del credito ordinario, serve un mix di strumenti di incentivazione e di credito agevolato, ispirato ad un’efficace azione di programmazione delle politiche di sostegno all’impresa diffusa”.
Dove il credito è difficile
Le difficoltà di accesso al credito, seppure diffuse, sono comunque a macchia di leopardo. Tra le principali regioni si rilevano flessioni meno accentuate in Sardegna con il -0,2% (vs. +1,3% totale imprese), Calabria con il -1,5% (vs. +0,7% totale imprese), Puglia con il -2,0% (vs. +0,6% totale imprese) e Campania con il -2,1% (vs. +1,8% totale imprese). All’opposto flessioni più marcate per Provincia Autonoma di Trento con il -6,8%, Veneto con il -6,7%, Friuli-Venezia Giulia con il -6,6%, Emilia-Romagna con -5,9% e Liguria con -5,8%. Solo in Lazio, Liguria e Provincia Autonoma di Trento la performance dei prestiti alle piccole imprese, seppur negativa, risulta migliore di quella del totale imprese.
“Per avere alcune indicazioni sulla dinamica del credito all’artigianato”, si spiega nello studio della Confartigianato, “è possibile considerare la dinamica dello stock dei prestiti al segmento delle ‘Quasi società artigiane’ – nella classificazione di Banca d’Italia si tratta di ditte individuali, società di fatto e semplici con almeno 6 addetti e società di persone – che rappresentano circa la metà (53,5% nel 2019) dei prestiti all’artigianato. Tali prestiti registrano ad aprile 2023 una flessione del 9,5% (era -6,1% un anno prima)”.