domenica, 8 Settembre, 2024
Esteri

Bolla immobiliare cinese. Timore per un nuovo “momento Lehman”

Un mattone pesa qualche chilo, ma il mattone cinese pesa quasi il 30% del Pil nazionale. Se scoppia una bolla immobiliare l’intero sistema potrebbe crollare come un castello di carta. Per questo la People’s Bank of China si è impegnata a continuare ad aumentare la liquidità necessaria, dopo che le borse sono scese ai minimi del 2023. E si temono contagi in tutte le altre maggiori borse mondiali. La banca giapponese Nomura, colosso internazionale, stima che per l’intero 2023 il Pil cinese scenderà al 4,6% dal 5,1%. Invariata la stima per il 2024 al 3,9%. Che per un miliardo e mezzo di persone significa quasi recessione. Pesano l’indebolimento dell’economia, le incertezze della risposta politica e il peggioramento della fiducia del mercato. Secondo la banca giapponese “Pechino dovrebbe svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza per salvare alcuni importanti costruttori e istituzioni finanziarie in difficoltà” e “revocare le restrizioni al settore immobiliare nelle grandi città per aumentare sia la domanda che la fiducia del mercato”.

Palazzinari cinesi e “pazienza storica”

I cinesi sembrano incastrati nella dipendenza generata da anni di crescita edilizia; settore “drogato” e “deregolamentato”, come sostengono analisti di tutto il mondo. Progetti immobiliari sono stati portati avanti soltanto grazie alla contemporanea costruzione di una vera e propria montagna di debiti. Un’ondata speculativa, tra mattone e finanza, che ha prodotto una miriade di “palazzinari”, che ora potrebbero soccombere, se il governo intervenisse a bloccare, improvvisamente, la bolla. Ieri è intervenuta la Banca Centrale per estendere i prestiti sulle case vendute ma non ancora completate. Mentre il leader Xi Jinping invitava il Partito comunista a praticare “la pazienza storica”.

Un momento Lehman

Il panico è scattato dopo il mancato pagamento di cedole da parte di Country Garden, un tempo il maggiore sviluppatore cinese, che apre le porte a un potenziale default se non onorerà gli impegni entro la fine del periodo di garanzia, a settembre. Non è detto che accada: mercoledì il colosso ha infatti avvertito la Borsa di Shanghai che le incertezze “sono notevoli”. Sarebbe la seconda grande bancarotta dopo quella di Evergrande, ma nella lista c’è un corposo gruppo di costruttori più piccoli già andati o lì lì per andare gambe all’aria. Xiaoxi Zhang, analista di Gavekal Research, parlando con il Wall Street Journal l’ha definito, “un momento Lehman”: una vera e propria minaccia per il sistema finanziario cinese”. Lehman Brothers dichiarò bancarotta nel settembre 2008, a seguito della crisi dei “subprime”, innescando una crisi che portò alla più grande recessione mondiale.

Sciopero dei mutui

L’anno scorso, proprio ad agosto, c’è stato un massiccio sciopero dei mutui in più di 100 città cinesi di medie e grandi dimensione. Sono tutte vittime di quello che l’Economist ha definito “uno schema Ponzi dell’immobiliare”. Il fatto è che Evergrande eCountry Garden potrebbe andare in crisi anche la Zhongrong International Trust che ha prestato tanto denaro che potrebbe non più rientrare. Preoccupa anche la situazione della Zhongzhi Enterprise Group, in particolare del suo ramo di wealth management che raccoglie i patrimoni delle persone facoltose (108 miliardi di dollari in portafoglio alla fine del 2022) e li investe, anche nel campo immobiliare. Tanto per avere un’idea di cosa è in ballo, basti pensare che i trust cinesi gestiscono asset per un valore stimato di quasi tre trilioni di dollari.

Stop a nuove case

Per ora sembra che i cinesi abbiamo interrotto bruscamente l’acquisto di nuove case. Ma a dare un colpo, in controtempo, sembra essere stato proprio il Governo cinese che ha cercato di mettere un freno ai costruttori indebitati; che sono più dell’80%. Così sono state introdotte le “tre linee rosse”, anche se il Governo di Pechino potrebbe svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza per salvare alcuni importanti costruttori e istituzioni finanziarie in difficoltà. Da oggi per poter accedere al credito chi vuole costruire deve certificare un rapporto passività/attività inferiore al 70%. Deve avere un patrimonio netto superiore all’indebitamento netto e liquidità sufficiente per coprire i prestiti a breve. Praticamente uno stop drastico che ha innescato il default di Evergrande e che sta facendo traballare tutti gli altri prestatori. La società non ha rimborsato il debito nel 2021, ha accumulato debiti per oltre 300 miliardi di dollari. Solo nel 2022 le inadempienze sui bond da parte degli sviluppatori immobiliari cinesi sono salite a 115 obbligazioni onshore e 92 obbligazioni offshore. Il saldo era di circa 20 miliardi di dollari per le obbligazioni onshore inadempienti e di 31 miliardi di dollari per le obbligazioni in dollari offshore insolventi, rispettivamente 6 volte e 3,4 volte le insolvenze dell’anno precedente. Il 2023 non promette tanto meglio con 141 miliardi di dollari di obbligazioni a scadenza. Le vendite di proprietà in tutto il paese sono diminuite del 27% rispetto all’anno precedente. Il gettito fondiario delle province in un anno è sceso del 23%. Come ricorda l’Economist, le vendite tra i 100 maggiori sviluppatori sono diminuite del 33% a luglio rispetto a un anno fa. “La carenza di liquidità di molti sviluppatori ha causato lo stallo di centinaia di progetti abitativi in corso, portando a una diminuzione del 15% dei completamenti di alloggi e di quasi il 40% degli inizi di alloggi entro fine 2022”, scrive il Peterson Institute. “I nuovi prestiti a promotori immobiliari da istituzioni finanziarie nel 2022 sono scesi al livello più basso in quasi un decennio”.

Cina, too big to fail

Probabilmente è il crollo della scelta di far crescere il paese basandosi soltanto sul mercato interno. Le importazioni cinesi si sono indebolite, crollando del 7,6% nei primi sette mesi del 2023, segnalando potenzialmente una debole domanda interna. Ma “il calo della crescita nominale delle importazioni è stato interamente determinato dagli effetti sui prezzi”. In termini di volume le importazioni sono aumentate dell’1,0 per cento rispetto a un calo del 6,4 per cento nello stesso periodo dello scorso anno. E’ finito il miracolo economico cinese? Non è ancora chiaro, anche perché le famiglie continuano a far registrare una crescita del 6,8% del salario medio. Certo è che sarebbe paradossale che un grande paese come la Cina, governata dal più grande Partito comunista del mondo, crollasse per colpa dei “palazzinari”. Ma forse la Cina è troppo grande per fallire: too big to fail.

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