Sessantanove anni fa moriva Alcide De Gasperi. Un trentino che aveva studiato a Vienna e vissuto “esiliato interno” in Vaticano. Cattolico. Antifascista. Popolare, fondatore della Democrazia cristiana. Uomo di stato tra i più grandi del dopoguerra. Pragmatico. “Se uno statista”, raccontava spesso, “conduce in buona fede il suo popolo alla rovina, potrà forse salvarsi l’anima ma l’effetto catastrofico è identico.” Qui una eccezionale testimonianza di un ragazzino di allora, oggi novantenne che ricorda una delle tante presenze a Napoli di De Gasperi con esponenti della neonata Democrazia cristiana, e che poi scriveranno la storia della Repubblica. Ricordi di emozioni più tardi riempite di consapevolezza. Ricordi di espressioni e voci di adulti chiamati, dal destino, a ricostruire l’Italia.
Lo statista visto da un piccino
“Il mio ricordo di Alcide De Gasperi è indelebile. È una presenza costante nelle mie riflessioni politiche, sociali ed umane. Ero un ragazzino di 11 anni quando, accompagnato da mio padre, conobbi lo statista che veniva dal Trentino, un uomo serio, di pochi complimenti e poche parole, una presenza straordinaria, in lui si amalgamavano forze e idee innovative e austere, quelle che avrebbero forgiato l’Italia democratica, l’Italia del boom economico, l’Italia del rispetto mondiale”. Inizia così il racconto di Sergio Benincasa, avvocato oggi novantenne di Napoli, che ricorda come grazie al padre Giovanni, avvocato nello studio di Mauro Leone, padre del futuro presidente della Repubblica Giovanni Leone, e a un gruppo di fondatori del Partito Popolare incontrarono Alcide De Gasperi, invitato a Napoli, per un confronto di formazione politica e elettorale, con esponenti istituzionali e delle professioni della città.
L’incontro a Napoli
“Fu un incontro memorabile. De Gasperi aveva carisma, persona che appariva concentrata e che sapeva guardare in profondità”, racconta l’avvocato napoletano. “Faccio un passo indietro per spiegare la visita di De Gasperi a Napoli. Parto dalla mia storia, che ha origini politiche ereditate da mio padre Giovanni il quale aderì al partito popolare di don Sturzo. Da queste radici ho mutuato la mia convinzione politica. Avevo 11 anni quindi una età dove molte cose vissute rimangono chiare per l’intera vita”
Il gennaio 1946
“Era gennaio del 1946 quando De Gasperi venne a Napoli.” Erano mesi di grande fervore politico, istituzionale e sociale. La guerra era finita, e si aprivano in modo tumultuoso nuovi orizzonti: alcuni erano un passaggio ad altre forme di società e di vita. “Lo stesso De Gasperi”, aggiunge Benincasa, “quando lo incontrammo era a capo dell’ultimo Governo del Regno d’Italia, nominato da Umberto II di Savoia. Era l’esecutivo che preparò il Paese ad affrontare le prime elezioni a suffragio universale.” Pochi mesi dopo, il 14 luglio 1946, venne nominato il secondo Governo De Gasperi formato da esponenti delle diverse fazioni politiche presenti nel Paese, ovvero la nascente Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e il Partito Repubblicano Italiano. Quell’esecutivo rimase in carica fino al 2 febbraio 1947, il tempo per promuovere e poi “realizzare cose straordinarie”. “Ma questi”, dice Benincasa lanciano uno sguardo tutt’attorno alla stanza, “sono accenni storici, mentre mi preme sottolineare la persona De Gasperi”.
La persona De Gasperi
“L’invito a Napoli”, ricorda, “venne fatto a De Gasperi da Giulio Rodinò, esponente del movimento cattolico napoletano, tra i fondatori del Partito popolare. Deputato dal 1913 e poi ministro della Guerra e della Giustizia. Va capita, e gliela spiego, l’importanza di quell’invito e di quella visita a Napoli. Rodinò era un personaggio affermato. Aveva ricoperto cariche di rilievo, ed era stato anche vicepresidenza della Camera. Era noto perché fu tra i promotori dell’Aventino dopo l’assassinio Matteotti. Come De Gasperi, nel ventennio, si ritirò dalla politica attiva e ne fece ritorno alla caduta del fascismo, nelle file della Democrazia cristiana. In questo contesto di forti legami personali e di cambiamenti politici nacque l’invito a Napoli formulato a De Gasperi. Era un impegno verso la città; quello di avere la presenza di una personalità di rilievo durante la campagna elettorale per la Costituente”.
Il corteo e il caffè Cimmino
Ricordo il corteo, non certo affollato, a cui feci parte. Una platea ristretta a pochi fedeli amici che passarono lungo il quartiere Chiaia sul mare, un quartiere benestante, e percorremmo tutta via Filangieri. Ricordo il seguito di amici che accompagnavano il presidente; c’era mio padre Giovanni, il prefetto Francesco Selvaggi di origini molisane, c’era il sindaco pro tempore di Napoli, Gustavo Ingrosso, che alla caduta del fascismo ricostituì il Partito del Lavoro e venne nominato, in seguito ad un accordo con il Comitato di liberazione nazionale, sindaco della città. In questo gruppo “che attraversava a passo veloce Napoli”, c’erano inoltre alcuni personaggi che poi hanno avuto un ruolo significativo nella politica locale e nazionale. Tra gli altri, Silvio Gava padre di Antonio, c’era l’onorevole Angelo Raffaele Iervolino padre di Rosa, in seguito prima e unica donna sindaco di Napoli. C’era un compagno di mio padre, l’onorevole e avvocato Francesco Cerabona, del partito socialista, più volte ministro. “Anche io cercavo di tenere il passo in questo giro cittadino.” Poi la delegazione, a cui si erano uniti altri cittadini di Napoli, fece una gradita sosta per tutti al Caffè Cimmino. La tappa successiva fu un incontro a casa di Giulio Rodinò, dove in molti esposero idee e progetti organizzativi. Alla fine Alcide De Gasperi prese la parola e catturò l’ascolto e l’attenzione dei presenti. “Aveva un modo sobrio di declamare le idee e le proposte”.
L’uomo politico
“Appariva per carattere tassativo, quasi impossibile contrastarlo o portarlo a un inutile botta e risposta.” “La sua parola era meditata e netta.” Allo stesso tempo “non un accenno di polemica perché riusciva a sintetizzare una strategia che comprendeva le sensibilità e opinioni anche diverse. Per me, vista l’età erano sensazioni, che però furono confermate nella vita quando appresi il pensiero e la politica di De Gasperi.” “Dobbiamo a lui, a questo gigante delle istituzioni democratiche italiane, il riscatto della Nazione nel dopoguerra, dobbiamo a lui la nascita di un grande partito come la Democrazia Cristiana, che ha avuto un ruolo di assoluto protagonismo e impegno nella crescita economica e sociale del Paese.”
Il discorso di Parigi
“Infine”, racconta Benincasa, “non posso trattenere una mia personale commozione nel ricordare questi eventi non solo perché ero ragazzino e oggi sono un novantenne, ma soprattutto perché vidi il nascere di una grande storia dell’Italia. Per questo ancora oggi devo un sentimento profondo di gratitudine verso questo uomo semplice e determinato, verso una mente illuminata che ha fatto del bene non solo al Paese ma a milioni e milioni di cittadini che temo siano stati e sono inconsapevoli dei benefici ottenuti.” “Per capire meglio, anche l’amarezza appena espressa”, conclude Benincasa, “invito tutti i lettori a stampare e leggere il discorso che alla Conferenza di pace di Parigi, il 10 agosto 1946. E’ un atto di fede politica, di impegno e di umiltà, semplicemente, grandiosi.”