Un esperimento eseguito in Australia, pubblicato sulla rivista scientifica ʼPlos Oneʼ, ha analizzato la capacità dei tessuti naturali, sintetici e misti, di biodegradarsi nell’oceano. Nel loro studio, i ricercatori coordinati dalla biologa Sarah-Jeanne Royer della Marine Biology Research Division, hanno analizzato dieci diversi tipi di tessuto tra cui quelli in cellulosa a base di legno come il lyocell o la viscosa, in cellulosa naturale come il cotone, in bioplastica, in plastica a base di petrolio (polietilene tereftalato e polipropilene) e vari tessuti di materiale misto. Per effettuare l’esperimento gli studiosi hanno immerso le stoffe appena sotto la superficie dell’acqua e a dieci metri di profondità dell’oceano esaminando ogni sette giorni il loro ‘sviluppo’. L’intero esperimento è durato 428 giorni.
Risultati sorprendenti
I risultati sono stati sorprendenti, in quanto, mentre quelli naturali e di cellulosa si sono dissolti nell’arco di un mese, quelli sintetici, compresi i tessuti fatti della cosiddetta bioplastica come l’acido polilattico, non si sono decomposti nemmeno dopo aver passato oltre un anno in acqua. La coordinatrice dello studio, Sarah-Jeanne Royer, ha sottolineato: “I risultati evidenziano l’importanza di eseguire test standardizzati in grado di verificare se i materiali venduti come compostabili o biodegradabili lo siano davvero nell’ambiente naturale e non solo in un contesto industriale”. La bioplastica è un materiale prodotto a partire da risorse naturali come l’amido di mais o la canna da zucchero, venduta come potenziale soluzione all’inquinamento da plastica; il PLA (acido polilattico) spesso etichettato come biodegradabile e compostabile, ne è la forma più diffusa. Circa il 62% dei tessuti sia di plastica o misto plastica, è materiale che rimane nell’ambiente per decenni o anche secoli senza contare che i tessuti sintetici contribuiscono all’inquinamento anche attraverso la dispersione di microfibre durante i lavaggi in lavatrice.
Fonte di inquinamento
Gli autori dell’esperimento hanno rimarcato: “Di Bio c’è ben poco” – spiegando – “la bioplastica, venduta come materiale ecologico e la plastica a base di petrolio, rappresentano un’importante fonte di inquinamento e bisognerebbe esplorare più a fondo il modo in cui questi materiali si comportano una volta dispersi nell’ambiente naturale”. Nel corso dell’esperimento, dunque, tutti i tessuti naturali le cui fibre si sono assottigliate in acqua con il tempo si sono disintegrati in 30-35 giorni; quelli a base di petrolio, i cosiddetti ‘bio’, sono rimasti intatti fino alla fine dell’esperimento mostrando che il diametro delle fibre in plastica è rimasto invariato; anche l’impronta chimica ha subito dei notevoli cambiamenti nei materiali naturali o in cellulosa, invece, in quelli sintetici non è mutata affatto. Il co-autore dei test, Dimitri Deheyn ha rammentato: “Il PLA, che si pensa sia biodegradabile perché ha il prefisso ‘Bio’, non lo è affatto. Quello che possiamo fare, nel mentre, è comprare meno vestiti optando per tessuti di miglior qualità e in materiali naturali o scegliendo indumenti di seconda mano che favoriscano l’economia circolare”. Gli autori di questo studio denominato: “Not so biodegradable…” hanno dichiarato che non esistono interessi concorrenti.