I risultati dell’ultima indagine della Banca d’Italia sul credito a livello territoriale ha certificato la riduzione generalizzata in tutto il Paese. “Più marcata” nel Mezzogiorno, più selettiva al Centro e al Nord. “La contrazione ha riguardato soprattutto il manifatturiero e il terziario, mentre la domanda delle imprese edili si è ridotta soltanto nel Nord Est”.
Sugli stessi dati alza lo sguardo la Cgia di Mestre e rileva che, nell’ultimo i prestiti bancari alle imprese italiane sono i peggiori d’Europa: soltanto Cipro fa peggio. In Germania si è registrato un +7,4% e in Francia un +4,5%. Tra i più alti: +13,5 in Croazia, Estonia e Malta +8,3%. La Spagna, invece, flette di 2,8% e il Portogallo registra un meno 3,7%, l’Italia meno 5%. Per il nostro Paese, in valori assoluti si tratta di una riduzione di credito di 33,3 miliardi di euro.
Le motivazioni della stretta
Come mai, si chiede la Cgia, “in quest’ultimo anno in Italia i rubinetti del credito hanno coninutato a chiudersi, mentre in gran parte del resto d’Europa non è avvenuto?” Le risposte sono più di una e le propone la stessa Cgia. Rallentamento dell’economia mondiale. Aumento del costo del denaro grazie alle politiche restrittive della Bce. Fine del periodo di pandemia durante il quale le stesse imprese hanno aumentato i risparmi e messo in cascina riserve finanziarie non sapendo come sarebbe andata a finire.
L’analisi di Bankitalia
Per l’istituto di via Nazionale secondo la quale “sulla riduzione hanno inciso le minori esigenze di finanziamento degli investimenti”, soprattutto al Sud, mentre nel Centro Italia avrebbe influito di più “la ristrutturazione delle posizioni debitorie pregresse”. Le banche al Nord, invece, hanno preferito fare più selezione, in particolare verso le aziende edili, soprattutto verso quelle giudicate “maggiormente rischiose”, in connessione con un aumento della rischiosità percepita e dei “costi di provvista”.
Nel frattempo, secondo trimestre 2022 e primo del 2023, è diminuita anche la domanda di mutui delle famiglie e, contemporaneamente, si è irrigidita l’offerta da parte delle banche. Dove sono finiti, allora, i soldi che hanno circolato meno nel circuito imprese-famiglie-banca?
La risposta di Banca d’Italia
Per l’Istituto sono finiti nell’aumento della domanda di titoli di Stato e in misura minore di obbligazioni bancarie e di depositi. Di più, Banca d’Italia prevede che in base ai primi dati del 2023 la domanda di mutui dovrebbe continuare a ridursi in tutte le ripartizioni territoriali, lo si deduce dal fatto che si sta allungando “significativamente” la loro durata media, che ha supato i 24 anni, allo scopo di contenere l’importo delle rate di romborso da parte delle famiglie che, invece, hanno fatto aumentare lievemente il ricorso al credito al consumo.
Dal lato dell’offerta, le condizioni applicate ai prestiti alle famiglie diventerebbero ancora più selettive in tutte le aree del Paese.
La Cgia e i chiaroscuro
“Dal 2011”, spiega la società mestrina, “il trend dei prestiti bancari alle aziende è in costante calo; una leggera inversione di tendenza si è verificata tra i primi mesi del 2020 e settembre 2022.”
E ancora: “Nell’ultimo anno, purtroppo, la tendenza ha cambiato segno.L’aumento dei tassi di interesse ha contribuito in misura determinante a ridurre il flusso dei prestiti alle attività economiche e a pagarne maggiormente le conseguenze sono state le piccole imprese. Quelle con meno di 20 dipendenti, infatti, hanno subito la riduzione degli impieghi vivi del 7,7 per cento (- 9,5 miliardi); quelle con almeno 20, invece, il taglio è stato della metà: -3,8 per cento (-22,5 miliardi di euro).”
Provocazione e verità
L’Ufficio studi della società mestrina, individua il responsabile di questo andamento nella Bce che, con il continuo aumento dei tassi, ha preferito spingere l’Europa verso “una nuova crisi economica anziché avere una inflazione che le previsioni di fine 2022 la stimavano per l’anno in corso comunque in deciso calo e su un valore medio attorno al 6 per cento.”
Letture più istituzionali come quelle della Banca d’Italia, più “provocatorie” come quelle della Cgia di Mestre, ma comunque concordanti nel dirci che imprese e famiglie hanno diminuito le richieste di credito, mentre le banche sono diventate più selettive.
Gli impieghi delle imprese
In dettaglio, l’andamento degli impieghi vivi a imprese, in percentuali e per province, nelle variazioni 2023-2022 ha fatto registrare forti flessini, in particolare, a Trieste (-15%), Aosta (-14,6%), Biella, Savona, Cagliari, Brescia, Macerata, Siena, Catanzaro, Varese, Udine e Genova; queste ultime con flessioni tra il 10 e 14 per cento. Hanno, invece, un segno positivo, Isernia (+16,5%), Reggio Emilia (+4%), Bologna (+3,7%), Trapani (+3,5%) e a seguire solo una decina di province con aumenti tra il 2,5 e lo 0,8 per cento (Salerno, Taranto, Benevento, Parma, Bolzano, Milano, Treviso, Pistoria e Sud Sardegna).