venerdì, 15 Novembre, 2024
Europa

Boris cambia pelle e terremota i moderati

Era nell’aria. Si può quasi dire che fosse telefonata. L’ultimo vero segnale in questa direzione ci fu lo scorso 31 Gennaio 2020, durante i festeggiamenti per l’uscita dall’Unione Europea, a Downing Street, quando ad alzare il calice fu proprio Boris Johnson per ringraziare tutti per l’aiuto. Tutti, anche quelli che non erano stati sempre da questa, dalla sua parte. Ma non importa, concluse, guardandosi attorno.

Fu allora che aver intercettato lo sguardo di uno dei più ferventi remainer della prima ora, il Cancelliere dello Scacchiere Sajid Javid. Miracolato prima e su posizioni estremiste poi, fino alle dimissioni di ieri 13 Febbraio 2020. Sembra che all’origine del gesto ci sia la richiesta di Johnson di azzerare il suo gabinetto. In pratica gli ha chiesto di farsi da parte evitandogli l’umiliazione della defenestrazione.

Il primo ministro britannico, impegnato in incessanti annunci che prevedono investimenti ambiziosi per quasi 150 miliardi di sterline per dare luogo a una totale rivoluzione nel mondo dei trasporti e collegare Londra con le periferie nazionali e la Scozia con l’Irlanda del Nord, sta in realtà andando incontro a un rimpasto di Governo di stampo ultraliberista.

Una delle star del nuovo firmamento politico britannico si chiama Rishi Sunak, ha 39 anni e prende proprio il posto di Sajid Javid. Figlio di medici indiani emigrati in nel Regno Unito nel 1960, laurea ad Oxford, MBA a Stanford, Sunak è una superstar nel mondo della finanza speculativa britannica dopo essersi fatto le ossa in Goldman Sachs e avere gestito numerosi hedge funds. Cresciuto politicamente nelle fila del Partito Conservatore, era stato testato durante l’ultima campagna elettorale in numerosi dibattiti televisivi sulla BBC e su altre reti commerciali inglesi. Una sorta di prova generale, a ragion veduta.

Alcuni vedono in questo cambio di passo, e nel più generale rimpasto di governo, lo zampino del superconsigliere di Boris Johnson, Dominic Cummings vera e propria eminenza grigia nella campagna per il Leave e longa manus nella stanza dei bottoni. Un falco a metà tra Machievelli e Rasputin, la sua stella era finita ultimamente in ombra, come ha recentemente ricordato l’Economist. Dapprima l’ok all’ingresso di Huwaei nell’affare del 5G da questi osteggiato; poi l’okay da parte di Jonhson al progetto HS2 che egli stesso aveva definito un vero e proprio disastro; inoltre, la proposta bocciata di spostare il quartier generale del Partito Conservatore nel nord del paese; infine l’idea bocciata dal suo fraterno amico Boris di accorpare i ministeri economici creando un super-dipartimento dedicato al business. Nel frattempo, ha scelto quale suo miglior nemico il “blob” fatto da accademici e funzionari della macchina statale quale principale impedimento alla capacità del paese di innovare. Nel calderone è stata scaraventata anche la BBC, il cui direttore generale si è dimesso pochi giorni fa.

Insomma, il governo sta cambiando pelle e le componenti più moderate sono state messe alla porta. Basti dire, per esempio, che nel rimpasto hanno portato a casa la pelle due ministri che hanno fatto delle loro posizioni estremiste il proprio marchio di fabbrica: il Ministro degli Interni, Priti Patel, e il Ministro degli Esteri, Dominic Raab. Entrambi esponenti rampanti della scuola ultraliberista di matrice tactheriana riuniti sotto le egide di un libro del 2012 che offre ottimi spunti di riflessione per capire il Regno Unito di oggi: Britannia Unchained. Come la prenderanno gli operai del nord, nonostante la promessa ultrakeynesiana di investimenti in opere e infrastrutture pubbliche, resta tutto da vedere.

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