Un nuovo studio ha svelato che la stragrande maggioranza degli italiani, ben 9 su 10, non sa riconoscere un’azienda sostenibile da una che non lo è. Questo dato sottolinea la difficoltà delle aziende nel catturare l’attenzione di un pubblico forse sempre più distratto, nonostante il tema della sostenibilità appaia centrale nella narrativa collettiva.
Comunicare (e basta) non basta più
C’è troppo rumore intorno a noi e questo rende difficile per i consumatori mettere a fuoco le vere intenzioni delle aziende. È arrivato il momento di battere un colpo. Solo così, oggi come oggi, lo sforzo comunicativo potrebbe bucare, come si dice in gergo.
Per dirla in altri termini, è diventata una questione di “walk the talk”, ovvero di tradurre le parole in fatti evitando mere operazioni di facciata. Promuovere un’etichetta come eco-friendly senza che ci sia un vero impegno verso ambiente e benessere collettivo non produce alcun effetto. Anzi.
Parafrasando le parole di un mio vecchio capo, che della comunicazione ne ha fatto un’azienda di straordinario successo mondiale, “prima fai, poi dici di aver fatto, cosa e come”.
Non solo comunicazione aziendale
Per un altro verso, però, c’è da dire che i consumatori hanno il potere di esigere che le aziende mantengano le promesse fatte. Per esserne certi, tuttavia, la consapevolezza diventa un aspetto centrale: informarsi, valutare attentamente e scegliere prodotti e servizi sostenibili sono azioni semplici ma potenti.
Questi gesti, infatti, invierebbero un segnale forte, spingendole a fare meglio. Non è un caso, per esempio, che una ricerca condotta da Boston Consulting Group abbia confermato come la pubblicazione di molti annunci sulla sostenibilità seguita da pochi elementi concreti sia stata punita severamente dagli investitori.
Eppure…
È chiaro che c’è bisogno di un approccio a tutto tondo. Se le aziende devono fare e comunicare meglio quello che fanno, i consumatori devono diventare più attivi e cercare di comprendere appieno cosa sta accadendo intorno a loro. Questo perché, quando c’è interesse per brand autenticamente impegnati, si crea una domanda di mercato che stimola l’offerta.
Ed è qui che emerge un paradosso. Una delle ragioni alla base dell’ascesa del populismo è stata la rivolta di coloro che si sono sentiti esclusi dalle élite dominanti. Un tema approfondito egregiamente in un bel libro di qualche anno fa, La tirannia del merito, da Michael Sandel.
Per cui qualcosa non torna: in un’epoca in cui il populismo è salito al potere sconfiggendo la tecnocrazia, per citare Sandel, dovrebbe essere dunque possibile per la maggioranza della società civile chiedere conto alle élite, aziende incluse, del proprio operato. Perché non succede?