E’ un copione stanco e logoro che si ripete senza grandi novità. Da troppo tempo. Politica e magistratura diffidano l’una dell’altra. La politica teme che la magistratura usi impropriamente il proprio potere per intrufolarsi nelle dinamiche dei partiti e nella dialettica tra maggioranza e opposizione. La magistratura teme che la politica voglia imbavagliarla, toglierle autonomia e subordinarla all’Esecutivo.
E’ un clima di sospetto che genera veleni, fraintendimenti e sopprime il dialogo che, invece, dovrebbe essere la regola normale del funzionamento delle istituzioni.
Non sono mancati né da una parte né dall’altra errori e talora eccessi intollerabili. Si può andare avanti così? Non è pensabile che politici e magistrati possano offrire ai cittadini uno spettacolo così devastante per la credibilità dello Stato. Serve voltare pagina. Ma chi deve fare la prima mossa?
Come in tutti i conflitti ciascuna delle due parti pensa che tocchi all’altra deporre per prima le armi. Magistratura e politica non sono sullo stesso piano. La politica è espressione della volontà popolare, la magistratura non è eletta dal popolo. Quindi la politica ha un primato e, in questo caso, un obbligo particolare in più: tocca a lei prendere un’iniziativa pubblica di riconciliazione, tocca alla politica cominciare a sminare il terreno e chiedere alla magistratura di fare altrettanto.
E per politica si intende sia la maggioranza che l’opposizione.
Questo non significa che la politica debba rinunciare a riformare la giustizia e ad attuare i programmi che sono stati sottoposti agli elettori. E non autorizza la magistratura a mettersi di traverso a qualsiasi costo.
Cambiare metodo
Bisogna trovare un metodo di dialogo.
Innanzitutto la politica dovrebbe smetterla con gli annunci roboanti che servono solo a gettare benzina sul fuoco. La materia giudiziaria è delicatissima, va trattata con garbo. Se il Governo vuole proporre al Parlamento delle riforme lo faccia senza parlarne genericamente per mesi in dibattiti e comizi in cui la polemica prende sempre la mano. Il Governo invii le sue proposte alla Corte di Cassazione, all’Associazione nazionale dei magistrati e al Csm. Apra un confronto istituzionale con questi organismi, dando tempi certi per l’esame di critiche e proposte correttive. Ma poi decida assumendosene le responsabilità davanti ai cittadini e senza attribuire la propria indecisione ad altri.
Evitare invasioni di campo
La magistratura ha il diritto e il dovere di criticare ma lo deve fare non come controparte del Governo ma come istituzione che insieme al Governo e la Parlamento deve dare il suo contributo all’attuazione della Costituzione. Questo significa che se non è d’accordo lo deve dire , deve formulare proposte alternative ma non deve né alzare barricare né mettere in atti pratiche sembrano delle ritorsioni. La magistratura deve rispettare la sovranità popolare che si esprime nel Parlamento e nel Governo che ottiene la fiducia delle Camere. C’è un limite che non può valicare.
Forse un messaggio alle Camere su questo tema da parte del Presidente della Repubblica potrebbe dare il segnale che una svolta si può e si deve realizzare. I tempi sono maturi.