mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Politica

Tre incognite per la nostra premier

Il trionfale esito delle elezioni in Molise conferma che la luna di miele fra gli Italiani e il centrodestra non si è esaurita dopo i primi cento giorni, come da tradizione, ma prosegue. Difficile negare che questo è dovuto in buona parte al personale carisma di Giorgia Meloni, alla crescita del suo standing internazionale, alla sua capacità di alternare la tradizionale grinta con scelte assai più meditate.

Contribuisce a questo successo, come in ogni competizione, il marasma in cui versano le opposizioni. Ancora inconsistenti le alchimie sui campi larghi, non si è ancora vista una credibile manifestazione unitaria e quindi non si può fare professione di unità perché poi Campobasso docet. Se a questo si aggiunge un Terzo Polo abortito in culla, con Calenda sempre più spuntato, sembra quasi in ritirata ed un Renzi che senza un orizzonte preciso sembra li in attesa di nuovi spiragli per sfoggiare la sua abilità manovriera, si capisce che in apparenza il centrodestra può dormire sonni tranquilli.

In apparenza, appunto: perché in realtà sulla strada dell’Esecutivo ci sia più di un’incognita. Al di là del tema degli sbarchi, naufragato ancora una volta nei mancati accordi dell’ultima riunione del Consiglio Europeo, la prima incognita, la più drammatica, è l’incombente recessione, determinata dalle scelte di rialzo dei tassi decisa dalla BCE. Senza particolare spirito nazionalista, direi che niente come la guida della francese Christine Lagarde ci ha fatto capire quale dono della Provvidenza per l’Italia fosse la presenza a Francoforte di un Mario Draghi. Certo, per statuto la Banca Centrale Europea deve tenere l’inflazione sotto il 2% annuo, e oggi siamo al triplo o al quadruplo di quella percentuale. Ma la stretta creditizia, con i suoi effetti sulla produttività, potrebbe non essere la risposta giusta, e rischia, a causa del rialzo del servizio del debito pubblico, di ridurre ulteriormente i margini di manovra sul bilancio statale.

In un Paese tuttora oppresso da gravissime diseguaglianze territoriali e sociali, con un mondo produttivo che, malgrado i passi in avanti, porta il peso di un carico fiscale mostruoso, non poter dare risposte rischia di logorare fiducia e attese.

La seconda incognita è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ad onta dell’ottimismo di facciata, è abbastanza evidente che l’enorme mole di denaro, prevalentemente in prestito, che abbiamo richiesto, è un boccone troppo grosso per il vischioso sistema della nostra burocrazia e per le resistenze corporative non sempre disinteressate che accompagnano la spesa pubblica. Tra difficoltà di cantierizzazione e lentezza delle riforme strutturali, l’Italia rischia di finire sul banco degli imputati, e questo renderà ancora più difficile al Governo fare la faccia feroce su dossier scottanti come il Mes.

La terza, forse l’incognita maggiore, è quella politica, legata alla scomparsa di Silvio Berlusconi e alla prevedibile diaspora di Forza Italia. È una profezia tutt’altro che difficile, non solo perché gli azzurri sono stati fin dal 1994 un partito personale, ma anche perché la personalità visionaria di Silvio Berlusconi ha rappresentato il punto di consistenza dell’elettorato moderato dopo la drammatica fine della Democrazia Cristiana e delle forze laiche minori. Questo popolo vasto, oggi disperso in mille rivoli, vive in una sorta di terra di nessuno, abitata da personalità eminenti e da idee condivisibili, ma disabitata quanto a leadership unificanti credibili.

È nelle corde di Giorgia Meloni, seguendo un certo filone della destra italiana che da Almirante arriva a Fini e Tatarella, il tentativo di raccogliere nella maggior misura possibile questo popolo in un blocco che per comodità chiameremo gollista, secondo il modello della vecchia Union de la Republique. Un’operazione che potrebbe aiutarla a vincere in modo definitivo l’ininterrotto derby con Matteo Salvini, approfittando della confusione a sinistra e passando per un voto anticipato che ne rafforzerebbe il peso (Fratelli d’Italia è già oggi più forte di Lega, centristi e azzurri insieme, ma in Parlamento pesa un’attribuzione dei collegi decisa su altri rapporti di forza).

Sarebbe un errore? Istintivamente verrebbe da rispondere no ma mi è più lecito pensare che possa anche trattarsi di un possibile disastroso errore; perché un salto nel vuoto di questo genere non porterebbe necessariamente a elezioni anticipate e elezioni che potrebbero rivelarsi assai meno trionfali del previsto (tutte le leadership successive a quella di Berlusconi si sono rivelate provvisorie ed effimere). Soprattutto, il sistema Paese potrebbe risultarne danneggiato in modo forse irreparabile. C’è di buono che Giorgia Meloni sta acquisendo sempre più il ruolo di un Premier assolutamente compenetrato nei temi caldi che stanno a cuore all’Italia, quasi da mater familias, e che continua a studiare tanto per non presentarsi impreparata ad ogni appuntamento che conta.

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