C’è un modo tutto italiano di affrontare i problemi e di individuarne le soluzioni.
Esso consiste non nel prenderli di petto, cercando di identificarne le cause, ragionando intorno alle possibili soluzioni, ipotizzando gli scenari derivanti dalle diverse opzioni e poi facendo la scelta più efficace senza ulteriori indugi.
No.
Lo stile italiano consiste nel tentare di schivare il problema, rinviandone l’esame, prendendolo di lato, cercando di curarne più le conseguenze che le cause, e adottando decisioni provvisorie e mai definitive.
È quello che si chiama il “galleggiamento” sul problema, la convivenza con esso e il rinvio della soluzione a tempi futuri, magari in condizioni di emergenza.
È come se con questo metodo si cercasse di esorcizzare il problema invece di guardalo in faccia, riducendo l’ansia di dover prendere il toro per le corna e crogiolandosi in un attendismo che finisce per farci assuefare al disagio distraendo l’attenzione dal nocciolo della questione e pensando ad altro.
La logica del rinvio è uno dei difetti principali del modo di governare la cosa pubblica, una pessima abitudine che ci illude di renderci la vita più semplice e invece ce la complica a dismisura perché i problemi non risolti e rinviati diventano sempre più grandi e intricati e a la loro soluzione sempre più difficile.
La disputa di questi giorni sulla prescrizione è un caso esemplare. Perché da noi è così sentito questo tema? Perché i processi durano troppo, il triplo della media europea. E con processi lunghi tanti reati diventano non più perseguibili. Poiché questo è un problema gravissimo che esiste da decenni cosa farebbe una élite di governo degna di questo nome? Andrebbe a rimuovere le cause della lunghezza dei processi che sono sostanzialmente 4: carenza di magistrati, enormi buchi nell’organico dei cancellieri, deficit di strutture materiali dei tribunali e norme penali e procedurali macchinose.
Invece di mettere seriamente mano a questi 4 aspetti del problema, ci si occupa dell’effetto della mancata soluzione di esso, cioè della necessità di evitare che tanti reati rimangano impuniti e che comunque non ci siano processi infiniti. Se negli ultimi 30 anni un po’ alla volta fossero stati affrontati i 4 aspetti del problema a quest’ora della prescrizione non ci occuperemmo semplicemente perché non sarebbe un problema. Stesso discorso vale per l’affollamento delle carceri e le condizioni disumane in cui si trovano tanti detenuti, molti dei quali in attesa di giudizio o di sentenze definitive. Invece di costruire nuove carceri, depenalizzare alcuni reati, individuare soluzioni alternative alla detenzione si discute periodicamente di come alleggerire il numero dei reclusi con provvedimenti come amnistia e indulto.
Analoga situazione si verifica con l’abnorme evasione fiscale. Invece di semplificare le norme e gli adempimenti fiscali, invece di rendere snelle le procedure di contestazione, accertamento e contenzioso, periodicamente si ricorre a condoni per fare cassa e, in i casi di colossali evasioni fiscali accertate, al deprimente spettacolo di uno Stato che, invece di farsi ridare fino all’ultimo centesimo le tasse non pagate, procede a patteggiamenti vergognosi concedendo sconti mirabolanti a chi ha evaso, ripetendo l’adagio “pochi maledetti e subito”. Gli esempi potrebbero continuare. Ma la morale è una sola. Non si può governare un Paese seriamente usando questi metodi di rinvio, aggiramento e sostanziale cronicizzazione dei problemi.
I tanti sedicenti innovatori che si affacciano come meteore nello scenario politico italiano dovrebbero occuparsi di cambiare questo modello di “problem solving” e non di incantarci con libri dei sogni o scatenando incubi irrazionali.