Il mondo è sempre più piccolo, con buona pace dei sovranisti di tutte le latitudini che pensano di renderlo più grande alzando barriere metalliche, doganali o mentali.
La crescente vicinanza di tutti i Paesi del mondo non è effetto solo della globalizzazione, intesa come estensione degli scambi di beni e servizi su scala mondiale.
C’è una globalizzazione delle persone che va ben oltre quella delle merci e della finanza.
Gli spostamenti da una parte all’altra del mondo sono diventati sempre più facili, sempre meno costosi, sempre più necessari e sempre più gratificanti.
Quello che anni fa era un lusso per ricchi vacanzieri o una necessità lavorativa per pochi grandi manager oggi è un modo di vivere che riguarda ampi strati sociali.
Il turismo di massa è senza limiti, se non quelli imposti da restrizioni burocratiche. Tutti vanno dappertutto.
Gli scambi culturali cominciano molto presto per le nuove generazioni che fin dal liceo si spostano per visite o soggiorni di studio più o meno lunghi. La formazione universitaria è oggi impensabile senza periodi di studio all’estero nei Paesi più disparati.
Le attività imprenditoriali e commerciali, di qualsiasi dimensione, impongono continui viaggi e la creazione di insediamenti produttivi o commerciali in posti un tempo inimmaginabili.
Le conseguenze di questo fluire continuo delle persone senza confini sono molteplici e in genere positive. Ma non c’è adeguata consapevolezza delle implicazioni che il “restringersi del mondo” può avere.
C’è una dimensione planetaria di ogni problema che non vogliamo vedere o che facciamo finta di non voler vedere.
La diffusione su scala globale di un virus, come quella di questi giorni, colpisce, spaventa ma non dovrebbe meravigliare: nessuno è più ormai “a casa propria” perché siano tutti interconnessi e non solo in forma virtuale attraverso la rete ma anche negli scambi reali tra persone anche tra quelle in cui ci si imbatte per caso.
Non esistono gabbie geografiche in cui rinchiudere le persone. Si può sigillare una metropoli cinese per alcune settimane, si può bloccare il traffico aereo con la Cina per non si sa quanto tempo, ma l’interazione della popolazione mondiale non può essere ingessata per lunghi periodi.
Che lezione trarre da quello che succede in questi giorni? Che gran parte dei problemi non sono di questo o quel Paese ma appartengono alla collettività mondiale e che il fluire delle genti ci rende tutti più vulnerabili se non ci sono standard minimi che tutti i Paesi di impegnano a rispettare. Questo non significa portare indietro le lancette dell’orologio impedire la circolazione delle persone. È impossibile e non servirebbe.
Molto più saggio invece delle paure sarebbe definire degli standard minimi di sicurezza, di igiene e di prevenzione di malattie pericolose a cui tutti gli Stati dovrebbero uniformarsi, aiutando -se necessario- quei Paesi che non hanno le risorse sufficienti per farlo.
In un mondo globalizzato nessun Paese è totalmente immune dalla diffusione di malattie gravi, da attacchi terroristici, dallo strapotere dei narcotrafficanti e di mafie.
Solo l’integrazione internazionale delle regole e della cooperazione per fronteggiare questi problemi globali può farci sentire più sicuri e meni vulnerabili.