Non è la prima volta che il Presidente esprime un giudizio senza appello contro il populismo e ne mette a nudo i pericoli. Il garante della Costituzione non può concedere nulla ad un modo di intendere il rapporto tra popolo e poteri istituzionali che stravolge le regole e tende a legittimare il dominio di personaggi che abusando della retorica sulla sovranità popolare si sentono al di sopra delle leggi. Una delle tentazioni del populismo è voler compiacere a tutti i costi il “popolo”, aizzando i suoi istinti meno nobili, ingannandolo e prendendo in suo nome decisioni che poi si rivelano disastrose. Frutto, questo, anche di una politica schiava degli umori volatili dei sondaggi e succube dello strapotere dei social e della manipolazione della realtà. Chi ha a cuore la democrazia deve alzare la voce contro queste degenerazioni. Se non si vuole che trionfi l’infamia del populismo.
Commemorando i 150 anni di Alessandro Manzoni, Mattarella ha ricordato l’opera “Storia della Colonna infame“, un saggio storico che fa da appendice ai “Promessi sposi” in cui Manzoni racconta il processo e la condanna contro i cosiddetti “untori” ritenuti responsabili della diffusione della peste del 1630. Questa opera, afferma Mattarella “ci ammonisce di quanto siano perniciosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi; e di quali rischi si corrano quando i detentori del potere – politico, legislativo o giudiziario – si adoperino per compiacerli a ogni costo, cercando solo un effimero consenso. Un combinato micidiale, che invece di generare giustizia, ordine e prosperità – che è il compito precipuo di chi è chiamato a dirigere – produce tragedie, lutti e rovine“.
Ma c’è di più. Mattarella fa una lucida analisi di alcune nefaste tendenze della politica e delle classi dirigenti in genere che tendono “a assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno attraverso i sondaggi, piuttosto che dedicarsi a costruire politiche di ampio respiro, capaci di resistere agli anni e di definire il futuro“.
Il Presidente non usa mezze parole quando stigmatizza i “pericoli che corrono oggi le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell’accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà“.
Un discorso di alto spessore democratico e istituzionale e, come imponeva il contesto manzoniano anche nazional-popolare. Perché si può essere – come Manzoni – popolari senza essere populisti. Si deve mettere al centro la sovranità del popolo senza contrapporla alle istituzioni. Si deve denunciare l’abuso dei social. Si deve condannare la diffusione di false notizie e di commenti che distorcono la realtà. Si deve stigmatizzare una politica che non ha visioni perché insegue i like e si affanna appresso ai sondaggi.