La Corte Suprema ha eluso una sentenza sullo scudo legale che protegge le società di Internet dalle azioni legali relative ai contenuti pubblicati dagli utenti in un caso riguardante le accuse secondo cui YouTube era responsabile per aver suggerito video che promuovono l’Islam militante violento. Il tribunale non ha deciso la questione legale sulla questione se le protezioni di responsabilità sancite nella sezione 230 del Communications Decency Act tutelino la presunta condotta di YouTube. Questo perché in un caso correlato che coinvolge accuse simili contro Twitter, il tribunale ha stabilito all’unanimità che tali accuse non potevano essere presentate in primo luogo ai sensi di una legge federale chiamata Anti-Terrorism Act. Di conseguenza, è probabile che entrambe le cause su YouTube e Twitter vengano archiviate senza che i tribunali debbano affrontare le questioni della Sezione 230. La causa di YouTube ha accusato la società di proprietà di Google di avere una certa responsabilità per l’uccisione di Nohemi Gonzalez, una studentessa universitaria americana, negli attacchi di Parigi del 2015 compiuti dal gruppo terroristico dello Stato islamico. Nel caso Twitter, la società è stata accusata di favorire e favorire la diffusione dell’ideologia islamista militante in modo da contribuire alla morte di un cittadino giordano ucciso in un attacco terroristico. I giudici in quel caso hanno stabilito che i parenti di Nawras Alassaf, ucciso a Istanbul nel 2017, non possono perseguire le accuse secondo cui Twitter, Google e Facebook siano responsabili per aver aiutato e favorito l’attacco ai sensi della legge antiterrorismo. A seguito di tale decisione, è improbabile che la famiglia di Gonzalez possa portare avanti la sua richiesta. Di conseguenza, non è necessario che i tribunali affrontino la questione dell’immunità della Sezione 230. La decisione non firmata afferma che le accuse siano “sostanzialmente identiche a quelle del caso Twitter”. Come risultato di quella sentenza “sembra ne consegua che la denuncia non riesca a dichiarare un reclamo – ha detto la corte – Pertanto ci rifiutiamo di affrontare l’applicazione della Sezione 230 a una denuncia che sembra affermare poche, se non nessuna, plausibile richiesta di risarcimento”. Il caso YouTube è stato seguito da vicino dall’industria tecnologica perché i consigli sono ormai la norma per i servizi online, non solo per YouTube. Piattaforme come Instagram, TikTok, Facebook e Twitter hanno iniziato molto tempo fa a fare affidamento su motori di raccomandazione o algoritmi per decidere cosa le persone vedono la maggior parte del tempo, piuttosto che enfatizzare i feed cronologici.