martedì, 17 Dicembre, 2024
Politica

La lezione di De Gasperi 

Per molti aspetti l’attuale situazione italiana, a cominciare dagli effetti sull’economia della pandemia e della guerra, l’inflazione e i salari bassi e, infine, la dipendenza dal gas russo, può in parte ricordare le condizioni dell’Italia postbellica. In quel momento quattro decisioni importanti di ispirazione Degasperiana furono prese che permisero al Paese non solo di rialzarsi, ma di assistere più tardi al famoso boom economico. Una analisi dettagliata di queste decisioni è stata ottimamente ricostruita da Giovanni Farese nel suo articolo “Il miracolo di De Gasperi” pubblicato su Aspenia dell’Aspen Institute. De Gasperi, che già andava disegnando la bozza di una Europa unita, fu tra i fautori di una “economia aperta” e ”mista”. L’economia aperta e l’economia mista furono le due leve che spesso si incrociarono come dimostrarono le interlocuzioni internazionali che ebbero in quel momento istituzioni come l’IRI, la Cassa per il Mezzogiorno e l’ENI e rappresentarono gli assi portanti della ricostruzione. 

L’idea di economia aperta deve molto ad Alcide De Gasperi e Luigi Einaudi, come diceva Guido Carli, ricordando l’intuizione politica del leader democristiano che spinse per un’apertura delle frontiere commerciali, in maniera da trovare l’equilibrio non tanto riducendo il fabbisogno di importazioni, ma, al contrario, aumentando le esportazioni e stabilendo su questa base un legame con l’Occidente così stretto da renderne impossibile la rescissione. 

Nonostante il convincimento della strategità dell’apertura ai mercati internazionali, De Gasperi seppe comunque resistere alle pressioni americane che, come condizione per concedere gli aiuti richiesti, imponeva la liquidazione dell’impalcatura statalista di cui, proprio l’IRI costituiva il pezzo forte. Richiesta che tra l’altro trovava sponda anche nei poteri economici forti presenti in Italia. Lo statista trentino difese il sistema delle partecipazioni pubbliche, che considerava, infatti, al di là delle influenze o delle sollecitazioni che gli venivano da più parti, fondamentale e non negoziabile. Egli, addirittura, allargò l’intervento pubblico al comparto energetico, metano e petrolio, considerati settori strategici ai fini dello sviluppo del Paese, non opponendosi, anche per garantire la pace sociale e i livelli occupazionali, al salvataggio attraverso la statalizzazione di numerose imprese in crisi. 

In concreto, la prima scelta che caratterizzò la ripresa fu quella di aderire alle istituzioni di Bretton Woods: la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS, la Banca mondiale) e il Fondo monetario internazionale (FMI). L’Italia non poté partecipare alla stesura dei loro statuti in quanto Paese co-belligerante, ma si adoperò perché fosse permesso il suo ingresso il prima possibile, intuendo l’importanza di un ritorno dell’Italia nella comunità economica internazionale. La seconda decisione riguardò la partecipazione all’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE che nel 1960 divenne OCSE), come conseguenza della ricezione degli aiuti dello European Recovery Program (il piano Marshall). Oltre al decisivo impulso per la liberalizzazione degli scambi, all’OECE iniziò a prendere forma uno spirito europeo, perché i Paesi europei, come raccontò Malagodi, si ritrovarono costretti a discutere i loro problemi non solo in termini nazionali, ma europei, in uno spirito di cooperazione. Dall’adesione alle istituzioni di Bretton Woods nel 1947 e la partecipazione all’OECE nel 1948 ne derivò che la costituzione economica italiana si arricchiva di contenuti in termini di cooperazione, commercio e moneta, che solo lentamente e faticosamente vi sarebbero entrati in via più o meno permanente.

Seguirono altre due decisioni di rafforzamento e di sviluppo dell’economia e dell’industria italiana, a partire dalla liberalizzazione degli scambi voluta, nell’agosto del 1951, dal sesto governo De Gasperi, in particolare, dal ministro per il Commercio estero Ugo La Malfa. Decisione storica grazie alla quale l’Italia si fece interprete del processo di liberalizzazione in ambito OECE. L’ultima scelta riguardò l’adozione, nel dicembre del 1953, di una legge per il credito all’esportazione, che colmava il divario con altri Paesi europei come Francia e Germania e agevolava l’inserimento delle imprese nei mercati esteri, portando l’industria e la tecnologia italiane nel mondo, specialmente nel Sud del mondo, dall’America Latina fino all’Africa subsahariana e all’Asia della decolonizzazione, incrociando le necessità e i piani di sviluppo dei Paesi allora economicamente arretrati. La legge fu varata dal Governo Pella I, ma la sua ideazione deve essere fatta risalire ad anni precedenti.

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