Riccardo Nerucci e Angelo Martinelli sono due magistrati ed entrambi avvinti dall’amore per la lettura e la scrittura, hanno pubblicato con BastogiLibri due romanzi in concorso per l’edizione 2023 del Premio Letterario Giuridico IusArteLibri Il Ponte della Legalità.
La narrazione di entrambi parte dalla scena di un crimine per far approdare il lettore alla loro ed alla propria anima. I legal thriller, ambientati nella sonnacchiosa provincia italiana, diventano diari intimi di scandali e peccati, di miserie e meschinità detestabili ma accattivanti.
Il protagonista dei romanzi di Martinelli è Massimo Angeli un anomalo pubblico ministero, che aborrisce ogni mediaticità e clamore giornalistico, che non guida la macchina e si muove solo in treno o a piedi, che non ha una relazione stabile ma adora sognante ogni donna che incontra e che usa i suoi casi come pretesti per trovare risposte ai sui disturbi sentimentali.
Come dice Emanuele Gagliardi, giornalista e scrittore, fan di Angeli- Martinelli nel romanzo “Il colore verde dello zero”, l’autore, attraverso un cocktail di narrativa classica, poliziesco e noir, pervaso da un mordace ma mai volgare sarcasmo che ricorda Leo Longanesi ed Ennio Flaiano, viviseziona la quotidianità delle persone, denuda le emozioni svilite e angariate dalla cupidigia, denuncia le infingardaggini, ma senza cedere alla tentazione di pronunciare un giudizio assoluto e insindacabile.
Perché Angelo Martinelli, come il suo collega Riccardo Nerucci non si sente un giudice ma un semplice esperto di crimini. Anche il protagonista del primo romanzo di Nerucci “Senza fretta, a perdifiato” è un anomalo investigatore privato alla ricerca non di un movente ma di “pezzi di verità”, sfuggiti alle indagini o al processo, archiviati o celati, sulla vita dell’assassino, della vittima e di tutti gli attori non protagonisti. Indagano e non giudicano.
Per bocca di Massimo Angeli, Martinelli smitizza il ruolo dei giudici che “fanno il mestiere di Dio, senza essere Dio”. L’enfasi mediatica della cronaca giudiziaria, li definisce servi dello Stato. Ma se siamo stati inventati per arginare le angherie dello Stato e del potere in generale, continua Angeli, siamo Servi del popolo, e se non se ne accorge nessuno vuol dire che è soprattutto colpa nostra”.
Gli scrittori del crimine e non della Giustizia cercano nel crimine l’Umanità densa e perduta, confusa e irretita, pervertita ed individualista.
Una ricerca faticosa per entrambi gli autori che si immergono “a perdifiato” nella pacifica solennità del mare”. Sia il P.M. Angeli sia l’investigatore Gabbieri approdano sulla spiaggia dei ricordi di infanzia per scoprirsi uomini privi di parole ma non di pudore nell’aspirare a “rendere giustizia”.
Nella prestigiosa cornice della Sala del Cenacolo di Palazzo Valdina, i padrini dell’edizione IusArteLibri2023, il magistrato scrittore Umberto Apice insieme a Cosimo Ferri, Consigliere della Fondazione Città del Libro-Premio Bancarella, hanno ricordato al pubblico che la dicotomia fra giustizia e verità processuale si accetta solo se bendati, ossia schermati, ed ancorati alla certezza della Legge ed alle regole del processo.
Nel suo saggio “Una musa per Temi. Diritto e processi in letteratura”, Apice nel descrivere il ruolo dello scrittore, alla visione di Camus secondo cui lo scrittore “non può mettersi al servizio di quelli che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono”, aggiunge il suo sguardo da giurista.
All’unisono i relatori gli avv.ti Paola Balducci, Monica Schipani, Vincenzo Greco e Tommaso Marvasi, nel riconoscere che i pilastri di un vita che ha senso saranno sempre la giustizia e la libertà.
Si avrà sempre bisogno di uomini che mettano la loro volontà al servizio della giustizia e del progresso, e di artisti e letterati che sappiano farci vedere la bellezza del mondo, oltre che il nostro destino individuale e collettivo. Perché scrivere, dice Apice, è doloroso, presuppone il saper depennare, rimuovere, stracciare e quindi ri-creare per trasformare i vinti in giusti.