Non vorremmo essere nei panni di Emmanuel Macron che era tornato dal viaggio in Cina pieno di contratti per le aziende francesi e sicuro di poter scrivere insieme a Xi Jinping una bozza di accordi di pace sulla guerra in Ucraina e baldanzoso contro gli Stati Uniti.
L’ambasciatore di Pechino a Parigi, non sappiamo se in uno sprazzo di lucidità o di euforia da champagne, ha detto come la pensano ambenti diplomatici cinesi: la Crimea non fa parte dell’Ucraina e le repubbliche ex sovietiche non hanno una base legale per la loro indipendenza da Mosca. Però! Quando si dice parlare chiaro!
Ora delle due l’una o Xi sconfessa il suo ambasciatore riportandolo in patria e mettendolo in castigo oppure a Macron non resta che prendere atto che la Francia da sola non va da nessuna parte nel tentativo di convincere Pechino a far ragionare Putin. In politica contano i rapporti di forza. E la Cina si sente forte e guarda dall’alto in basso tutti, con qualche riguardo per gli Stati Uniti ma senza esagerare. Per costringere Pechino a uscire dalle sue comode ambiguità occorre un asse forte tra Europa, Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Nato un segnale di compattezza per far capire al Dragone non può fare il furbo all’infinito. Divide et impera è una delle linee guida che ispira la politica estera cinese che approfitta delle debolezze dell’Unione europea, delle ambizioni di Macron e Scholz per seminare zizzania nel Vecchio Continente e tra l’Unione e gli Stati Uniti. Dietro la faccia rassicurante di Xi Jinping c’è ben altro e le dichiarazioni dell’ambasciatore francese lo rivelano senza pudore.