È targata profondo Sud – anzi profondissimo – la più rilevante rivoluzione culturale di questa prima parte dei mitici (perché saranno tali, non ho remore nel pronosticarlo) anni ’20 del XXI secolo.
Come ogni evento culturale non si tratta di una scoperta improvvisa, ma dell’emersione di un fenomeno già presente nella realtà sociale, che di colpo trova uno o più vettori, che lo rendono palese al grande pubblico.
Il fenomeno – di cui si sono fatti alfieri e diffusori il poliedrico conduttore Fiorello (con tutta la sua banda di “Viva Rai Due”, “intr’o glass” di Via Asiago, a cinquanta metri dal mio Studio) ed il brillante giornalista del Corriere della Sera, Tommaso Labate – ha origine nella mia Locride.
Il che suscita in me un contrastante doppio sentimento: di orgoglio, perché sento di essere stato tra i giovani che più di mezzo secolo fa hanno dato l’avvio al movimento culturale; di dispiacere perché la rilevanza culturale dello stesso è emersa solo dopo l’archiviazione della candidatura della Locride a capitale della cultura: fosse stata resa pubblica prima, non ci sarebbe stata storia: avremmo dato un bel sucone a tutti (così cominciamo a entrare nel giusto clima culturale).
I protagonisti di questa rivoluzione culturale siamo tutti nati in quel periodo di diciotto anni 1946-1964, da cui derivò la minigonna e i Beatles. Oggi saremmo detti “boomer”: «appellativo ironico e spregiativo, attribuito a persona che mostri atteggiamenti o modi di pensare ritenuti ormai superati dalle nuove generazioni, per estensione a partire dal significato proprio che indica una persona nata negli anni del cosiddetto “baby boom”, e cioè nel periodo di forte incremento demografico che ha interessato diversi paesi occidentali al termine del secondo conflitto mondiale, tra il 1946 e il 1964» (Accademia della Crusca).
Sennonché noi, che non sapevamo di essere superati e che non soffrivamo di complessi, già alla fine degli anni Sessanta avevamo coniato, attorno al magnifico Liceo Classico “Ivo Oliveti” (ma è onestà culturale citare pure lo Scientifico “Zaleuco”, anche se nell’annuale sfida calcistica perdeva sempre: ma l’arbitro lo sceglievamo noi del classico!), l’auto definizione di “Suker”: per definire uno slang, caratterizzato dal saluto “suca”, abbreviazione del latino sucantibus(chissà come ripreso da Arbore e Boncompagni col personaggio radiofonico di Scarpantibus). Da questo slang derivò la variante jonica della Rivoluzione di Reggio di Calabria del 1970, con l’adattamento del famoso “Boia chi molla”deformato in “Boia chi non suca”.
Se l’origine del movimento culturale è Locrideo, vi chiederete, come è arrivato il sucapensiero all’etneo Fiorello?
Per amor del vero bisogna ammettere che il fenomeno culturale non era sconosciuto nella Sicilia orientale, detta anche “Costa dell’arancino” (al maschile, l’unico riconosciuto come tale dal movimento culturale in esame). Qui, però, non era molto diffuso e subiva la forte repressione dei Gesuiti, molto presenti negli anni Sessanta nella zona tra Catania ed Acireale. Ne sa qualcosa chi scrive: in quegli anni, coscritto in un collegio come si usava allora, ogni volta che cercavo di manifestare liberamente il mio sucapensiero subivo repressioni profonde e crudeli: che tuttavia non mi hanno fatto desistere.
Ma qualcosa deve essere rimasta nel catanese ed è arrivata fino a Fiorello. Il quale – altra ipotesi che azzardiamo – potrebbe essere stato introdotto alla dottrina della sucata dall’amicizia col grande Vincenzo Mollica. Questi, infatti, maturato anch’egli all’«Ivo Oliveti» di Locri, per quanto nei miei ricordi di liceale non mi pare avesse aderito alla corrente culturale era un osservatore fin da allora attento. Avrà quindi certamente rilevato il fenomeno; e lo ha magari riferito a Fiorello.
Salvo, ovviamente, che quest’ultimo non voglia ipotizzare che a Catania si sucasse prima ancora che a Locri Epizephiri (attualmente Catania e Locri sono rispettivamente primo e secondo in classifica in serie D e mi hanno raccontato che nei due derby i suconi si sprecavano da entrambe le parti: segno di grande cultura).
Dopo il 1971, col trasferimento a Roma per l’Università, comincia l’era della clandestinità. Il sucapensiero risultava troppo in vantaggio sui tempi e non era compreso nella Capitale. Forte era anche il desiderio di noi emigrati calabresi di integrarci con Roma, fino a quando abbiamo capito che Roma si era integrata essa con la Calabria.
Non posso fare i nomi, perché non sono personaggi pubblici (tanto chi deve capire chi sono lo capisce senza fatica). Ma se il sucapensiero è sopravvissuto in quegli anni clandestini lo si deve ad un dermatologo e ad un architetto che, assieme a me – contrastati da mogli e figli troppo conformisti – lo abbiamo coltivato. Fino a poco tempo fa ci chiamavano “i 180”; oggi siamo (quasi) “i 210”.
E che soddisfazione allorché abbiamo capito che Tommaso Labate, frequentando lo stesso liceo classico, era stato iniziato al filone culturale e (sia pure all’inizio clandestinamente, come un po’ tutti noi) aveva aderito ad esso.
Evolvendolo ora in Teleminkia, di cui ha assunto brillantemente la direzione. Una rete TV che, devo ammetterlo sia pure a malincuore, darà diffusione, nuova verve e una nuova forma ad una cultura che aveva bisogno proprio di questo rinnovamento, per affermarsi definitivamente.
Narro tutto ciò con grande ammirazione per la serietà professionale di Fiorello e di Tommaso Labate, che è fuori discussione, al di là della mia satira: mi direte voi se volgare o nei limiti.
Ed #ElonSuca? Ah, come avrebbe detto Ionesco, a quello gli si rompe sempre il razzo!