Votare è l’espressione più emblematica della democrazia. Sebbene la partecipazione elettorale sia in diminuzione, il tasso di partecipazione al voto in Italia è ancora soddisfacente ed è sintomo di un discreto benessere della nostra democrazia.
Si vota per il Parlamento nazionale, per quello europeo, per le Regioni, per i Comuni, per i referendum.
Ogni volta che gli italiani sono chiamati ad esprimere le loro scelte ci sono campagne elettorali che, data la facilità di circolazione delle informazioni, acquisiscono visibilità nazionali anche quando sono molto locali. E questo è un bene, perché è giusto che l’intera collettività sia messa in condizione di sapere cosa succede anche nel più sperduto paesino.
Ciò che invece non è un bene è il disordine temporale con cui avvengono le elezioni e l’uso -o abuso- che ne viene fatto dai politici.
Spieghiamoci meglio.
Le elezioni politiche dovrebbero svolgersi ogni 5 anni. Dal 1948 al 2018 (ultima tornata elettorale), sono passati 70 anni e si sarebbe dovuto votare quindi 14 volte. Invece le legislature che si sono succedute sono state 18, con una durata media dei parlamenti di 46 mesi.
Questa instabilità parlamentare si somma a quella, ben più grave che riguarda i governi che dal 1948 ad oggi sono stati 66, con una durata media di 13 mesi.
Se prendiamo in esame l’arco temporale che va dalla prima elezione diretta del Parlamento europeo, 1979, ad oggi, dobbiamo sommare alle 9 tornate elettorali per l’Europa le 11 elezioni politiche. Quindi, in 39 anni gli italiani hanno votato 20 volte. A queste dobbiamo aggiungere le elezioni regionali ordinarie, ogni 5 anni, che dal 1980 a oggi sono state 9. E siamo a 29 chiamate alle urne. Poi ci sono le elezioni regionali che si sono svolte a causa dell’interruzione anticipata di legislature locali. Dal 2000 a oggi sono state ben 19. Se a queste aggiungiamo le 42 tornate elettorali nelle regioni a statuto Speciale siamo già a circa 70. E poi ci sono quelle comunali nelle quali ci si perde.
Insomma le occasioni per esprimere il voto in Italia tra politiche, europee, regionali, comunali a scadenza normale o anticipate sono davvero numerose. Il buon senso vorrebbe che tali elezioni fossero accorpate, non solo per far risparmiare lo Stato, ma anche per evitare una sorta di campagna elettorale continua che non giova alla stabilità della democrazia.
Ad ogni tornata elettorale in Italia i politici- a seconda delle convenienze- tendono a dare significato e portata nazionale. Questo comporta almeno due gravi fenomeni.
Il primo: i contenuti locali vengono messi in secondo piano rispetto alle polemiche nazionali, inquinando, di fatto una scelta che dovrebbe essere circoscritta alla scelta di amministratori locali.
Il secondo: ogni risultato locale diventa occasione per seminare caos nei partiti, nel Parlamento, nelle maggioranze di governo.
Il risultato è una spinta frenetica all’instabilità della nostra democrazia che avrebbe bisogno, invece, di esser meno attraversata da continui terremoti per poter esprimere decisioni che richiedono un minimo di continuità dei gruppi dirigenti.
Il voto continuo, lo stravolgimento delle campagne elettorali, l’indebita trasposizione a livello nazionale dell’esito di elezioni locali è un mix che genera una turbolenza continua nelle istituzioni. Un lusso che l’Italia in cui i governi durano in media 13 mesi e i parlamenti neanche 3 anni e mezzo non si può permettere.
E invece il mondo politico sembra eccitato da questo continuo tourbillon elettorale di cui abusa, irresponsabilmente.