venerdì, 5 Luglio, 2024
Economia

Banche generose con i loro top manager, meno con la clientela

Gli Istituti di credito italiani scoppiano di salute ma i costi non scendono

La banca francese Bnp Paribas ha recentemente aumentato i compensi ai cosiddetti “gestori materiali del rischio”, quindi anche agli italiani della Bnl, del 14% fino a 504,3 milioni di euro. Si tratta di un incremento medio di circa il 18% per un numero di dipendenti della banca (369 più 26% rispetto all’anno precedente) che guadagnano oltre un milione di euro aumentato.

Questa misura certamente dimostra   come i manager abbiano tanta facilità ad aumentarsi la retribuzione, mentre tutto il resto del mondo del lavoro arranca per arrivare a fine mese ed ha difficoltà a pagare le bollette di luce e gas. La spirale prezzi-salari infatti non c’è, quella prezzi-profitti invece sì. La crescita dei consumi rallenta vistosamente per i prezzi sempre più alti (+3% nell’ultimo trimestre 2022) e la propensione al risparmio degli italiani si ferma invece al 5,3%, in diminuzione di 2,0 punti percentuali rispetto al trimestre precedente.

Gli italiani cioè spendono tutto il reddito e/o intaccano i risparmi per poter vivere. Secondo l’Istat per la prima volta i consumi diminuiscono rispetto al mese precedente in volumi e in valore rispettivamente dello -0,9% e dello -0,1%: “La crescita del reddito disponibile delle famiglie (+0,8%), accompagnata da una crescita dei prezzi al consumo particolarmente forte nello stesso trimestre, ha comportato una significativa diminuzione del potere d’acquisto (-3,7%); la tenuta della spesa per consumi finali (+3% in termini nominali) si è quindi accompagnata ad una marcata flessione del tasso di risparmio”. Sui dati trimestrali relativi al reddito e al risparmio delle famiglie del quarto trimestre del 2022 la propensione al risparmio è stata pari al 5,3% in diminuzione di ben 2 punti rispetto al trimestre precedente. “A fronte di una variazione del 4,7% del deflatore implicito dei consumi, il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito del 3,7% rispetto al trimestre precedente”.
A differenza di questa situazione sociale molte banche italiane stanno meglio delle altre consorelle in Europa. Basta vedere la loro liquidità a breve, il cui indice di copertura di esigenza immediata va dal 195% di Bper al 168% di Unicredit, passando per il 191% di Bpm ed al 182% di Intesa San Paolo a fronte del 159% del Bbva, del 141% di Deutsche Banck e del 132% di Bnp Paribas. E poi è sufficiente confrontare il Cet 1, cioè il loro coefficiente patrimoniale tra le nostre banche e le principali europee: Unicredit è al top in Europa (17%), decisamente meglio di Banco Bilbao Vizcaya argentaria (15%), Bnp Paribas (12%), Deutsche Bank (13%) e Ing (13%).
Sono tutti istituti (come anche Intesa che è al 14%, Banco Bpm al 14% e Bper al 13). che superano abbondantemente le soglie previste dalla Bce. Per non parlare del tasso di copertura degli Npl (i crediti deteriorati) che in Italia è del 51,2% contro il 31% della Germania, l’11%, della Grecia, il 26,5% dei Paesi Bassi e il 6% del Portogallo.
Alla luce di questi dati, a cui si aggiungono le operazioni di buyback delle due maggiori banche, Unicredit e Banca Intesa Sanpaolo, che ha concluso la seconda fase del buyback azionario per il restante ammontare di 1,7 miliardi di euro del programma complessivo per 3,4 miliardi, generando cosi valore per gli azionisti. Unicredit, dal canto suo, nei giorni scorsi ha definito le modalità per il riacquisto di azioni proprie per 3,4 miliardi, che la banca intende eseguire in due tranche, di cui la prima da 2,34 miliardi che dovrebbe proseguire per alcuni mesi. Ma anche Bnp Paribas ha effettuato simili operazioni. Tutti questi istituti sono stati autorizzati dalla Bce unitamente a consistenti distribuzioni di utili che hanno fatto felici i loro azionisti.

Non si comprende perciò perché continui la politica di “rigore” – si fa per dire – nei confronti della clientela di queste banche che non trae alcun vantaggio da questi risultati brillanti conseguiti negli ultimi due esercizi (2021 – 2022), mentre si mostrano molto generose nei confronti dei propri top manager nell’ambito dei quali non ci ha fatto una bella figura il vertice di Unicredit con Orcel e Padoan. Il primo, banchiere romano residente in Svizzera, ha ottenuto un aumento del 30% dello stipendio, che passerà da 7,5 a quasi 10 milioni di euro nel 2023, tra i più alti d’Europa. Il secondo, il presidente di Unicredit, Pier Paolo Padoan ex ministro dell’Economia e senatore del Pd, si è schierato in difesa di Orcel, giustificando così  l’aumento dello stipendio : “E’ giusto correggere un difetto nel disegno iniziale del pacchetto retributivo ed agire in coerenza con un’organizzazione intenta a riconoscere, premiare e incentivare l’eccellenza e il superamento dei risultati”. Unicredit ha comunicato che le commissioni sui conti correnti verranno diminuite a tutti i clienti, finora però non s’è visto alcun ripristino  delle condizioni dei tassi creditori praticate prima che la Bce  li abbassasse.

E ora che sono saliti e che continuano a salire come si comporterà il grande istituto? Utili e stipendi, ai vertici delle banche, salgono quasi di pari passo come in una sorta di “cartello” dei manager  chiamati a macinare soldi: chi distribuisce dividendi agli azionisti si sente in dovere di chiedere benefici milionari per sé, mentre negli ultimi anni si sta togliendo alla clientela l’assistenza allo sportello, la gratuità dei bancomat e l’accesso garantito al credito.

E’ chiaro che il mondo bancario vive una fase di crescita finanziaria slegata dal rallentamento dei fondamentali dell’economia reale italiana, dovuta alla crisi ucraina e all’aumento dell’energia, ma è anche chiaro che ai record di redditività non corrisponda mai alcun calo dei costi per i clienti né un miglioramento delle condizioni su prestiti e mutui a cittadini e imprese.

In altri Paesi, molti governi hanno deciso di tassare gli extraprofitti non solo dei grandi gruppo energetici ma anche delle banche, per finanziare i sostegni ai cittadini. Bisognerà riuscire a convincere le banche a redistribuire sull’intera comunità nazionale i vantaggi di una crescita che non può essere solo indirizzata alla remunerazione del capitale e degli stipendi dei top manager.

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