La coincidenza ha voluto che proprio la mattina di Pasqua avrei finito di rileggere non senza qualche nostalgia un libro della mia tarda adolescenza, Il conto dell’ultima cena di Andrea Pinketts.
Sará che proprio in quelle ore avrei compiuto gli anni, sará che non posso dimenticare l’entusiasmo con cui piú di vent’anni prima l’autore avrebbe accettato non solo l’invito a un evento che stavo organizzando ma anche l’idea di condividere casa con altri studenti squattrinati com’eravamo, fatto sta che in quel momento tutto sembrava possibile e dunque meraviglioso.
A suonare la sveglia sarebbe stato un invito a cena che mi avrebbe riportato in una delle culle del Leave. Pensai che nei mesi del referendum tutto doveva sembrare possibile e dunque meraviglioso a qualche milione di elettori. Poi però sarebbe arrivato il momento del conto.
Passeggiando tra le macerie della Brexit
Ci mancavo da qualche anno e, complice una piccola vivace, ho passeggiato a lungo nel centro cittadino in attesa che il main course fosse in tavola. Non riesco a togliermi dalla testa la sensazione di desolazione. Non tanto per la noia che le festivitá si portano appresso in una cittá di provincia, ma anche perché era quel senso di abbandono e trascuratezza che aveva cominciato a opprimermi.
L’ultima volta era stata nel 2016. La ricordavo diversa. Adesso, a parte un paio di negozi ancora in attivitá, è terra di nessuno, incluso un gruppo di alcolisti che resta evidentemente anonimo. Certo, di mezzo c’è stata una pandemia si obietterá. Ma tiene fino a un certo punto perché poi la vita, in un modo o nell’altro, è ripartita. Qui no.
Quindi potrei scrivere la parola fine, sollevando la domanda su chi ha pagato il conto di quell’ultima cena chiamata Brexit. Perché se un lato gli uni avevano venduto un sogno, gli altri lo avevano comprato con entusiamo e speranza, confermando a loro insaputa quella legge per cui se non conosci qualcosa non puoi che subirla.
Il FMI tra deglobalizzazione e recessione: colpa della Brexit?
Il punto, infatti, è che adesso anche il Fondo Monetario Internazionale solleva piú di un dubbio sul fatto che quel referendum abbia messo il primo mattone per la deglobalizzazione in atto, portando con sé prospettive di crescita ridotte. Muro dopo muro, una catena di approvvigionamento alla volta.
Certo c’è da prendere in considerazione altri fattori congiunturali come la guerra in Ucraina, la persistente inflazione, l’attuale crisi bancaria e via discorrendo per tracciare un ritratto fedele delle attuali difficoltá.
Tuttavia, non può essere un caso se da un lato l’economia inglese abbia perso il suo mojo, la sua attrattivitá, mentre dall’altro Boris Johnson balli da solo. La festa è finita, ma non vanno in pace.