mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Economia

Previdenza, corsa alle uscite anticipate. Un pensionato su 6 ha meno di 64 anni

Quota 41, riforma in stallo. A maggio Sindacati in piazza contro il Governo  . 

Uscire dal lavoro in punta di piedi è possibile, malgrado quote e sbarramenti. Il tema pensioni resta per gli ultimi Governi la grande incognita. Il dossier più spinoso e il più rinviato. I dati illustrano il paradosso con il quale convive il sistema previdenziale italiano.

Nel 2023 il 17,4% dei pensionati – su un totale di 17,7 milioni di assistiti -, ha un’età inferiore ai 64 anni. In altri versi 1 su 6 è al di sotto della soglia dei 67 anni previsti dalla legge Fornero e dai successivi aggiustamenti di “Quote”. Scandagliando quel 17,4% di pensionati oltre il 10% ha meno di 59 anni. Il tutto avvenuto, naturalmente, con giuste e opportune garanzie per i lavoratori ma di fatto il sistema previdenziale italiano grazie a stratificazioni di leggi e di opportunità è un labirinto in cui i Governi rischiano di perdersi e finire contro un muro.

Le incognite sui costi

Un segnale di difficoltà lo si avverte anche per l’Esecutivo di Giorgia Meloni, la riforma della previdenza resta incagliata ai costi, alle leggi di Bilancio e ai calcoli dell’Istituto nazionale di previdenza. Il tutto, come segnala costantemente l’Inps, in uno scenario difficile: meno lavoratori attivi, meno versamenti nelle casse dell’Istituto in un Paese che invecchia.

Niente tavoli, riforma in blocco

Il Ministro del Lavoro, Marina Calderone a gennaio era partita con l’auspicio di mettere a punto una riforma condivisa con i sindacati, ma la trattativa dopo l’ultimo incontro di febbraio – che doveva essere seguito da confronti a cadenza ravvicinata su singoli temi – si è arenata. Di fatto il tavolo previdenziale è rimasto vuoto. Da un lato il Governo che chiede tempo per verificare i costi di una possibile riforma e dall’altra i sindacati che per maggio inizieranno una serie di mobilitazioni dove il tema pensioni farà da protagonista.

Quota 41 e altre vie d’uscita

L’attuale situazione di stallo  vede tuttavia in campo la proposta del Governo di “Quota 41”, che prevede di far intercettare la pensione “indipendentemente dall’età”, a tutti coloro che hanno 41 anni di versamenti contributivi. Il Piano costerebbe secondo le stime dell’Inps 4,3 miliardi il primo anno: un importo destinato a crescere gradualmente fino a 9 miliardi l’anno a regime. Un calcolo che lascia perplesso il Ministero dell’Economia e Finanze che tra l’altro deve tenere a freno la spesa e avere l’ok da Bruxelles che sul tema previdenza pone una attenzione particolare. “Quota 41”, rappresenta tuttavia la via maestra – posto il

requisito dei 41 anni di versamenti – che il lavoratore ha per cogliere una uscita anticipata. Altre occasioni ci sono ma sono dedicate a situazioni limite, come, ad esempio: Ape volontario o sociale, Isopensione, pensione anticipata per  mansioni usuranti e per i lavoratori precoci, e per quello che resta delle opportunità di Opzione Donna.

Costi e uscite anticipate

Le pensioni di uscite anticipate restano comunque il piatto forte dei conti Inps. I dati dell’ultima rilevazione registrano che al 1° gennaio 2023 le pensioni di anzianità e anticipate in tutto 5.022.600,  sono in prevalenza rispetto a quelle di vecchiaia 4.380.315. Il grosso arriva dalla gestione dei lavoratori dipendenti, con oltre 3,3 milioni di assegni, ai quali si aggiungono quelli delle gestioni dei lavoratori autonomi, più di 1,7 milioni.

Stando ai costi la situazione evidenziata dal Coordinamento generale statistico attuariale dell’Inps registra che le pensioni d’anzianità e anticipate erogate dall’Istituto a tutto il 1° gennaio 2023 assorbono ben 121,6 miliardi: quasi il 53% del conto totale da circa 231 miliardi per prestazioni pensionistiche.

Baby pensioni e giovani senza

Nella complessa  macchina previdenziale c’è da sottolineare anche un rilievo che emerge dal libro presentato dal presidente Inps, Pasquale Tridico, dal titolo profetico: “Il lavoro di oggi la pensione di domani”, in cui si evidenzia il ruolo delle 189 mila “baby pensioni”. Assegni che pesano annualmente 2,9 miliardi sui conti dell’Istituto. Di questi trattamenti circa 149mila sono versati a donne, che mediamente usufruiscono di questo assegno da 36 anni, mentre per gli uomini la durata media del beneficio è di 35 anni. Al contrario per un giovane di oggi la prospettiva di ricevere una pensione – con un importo modesto – si allunga verso i 70 anni. Ed è l’emergenza generazionale su cui puntano i sindacati per ridare un equilibrio del sistema a favore dei giovani.

Più donne ma assegni poveri

Infine le nuove pensioni femminili sono in avanti di 5 punti rispetto a quelle degli uomini. Per questi ultimi l’importo medio dell’assegno lo scorso anno è stato pari a 1.442 euro e per le donne pari a 1.014 euro. Per quanto riguarda quelle erogate con la misura di Opzione donna nel 90% dei casi gli importi inferiori ai mille euro.

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