Il futuro del nostro Paese, della sua ricchezza e del benessere dei suoi cittadini, non sta solo nella suo saper fare e nelle sue eccellenze produttive, ma, in un mondo come l’attuale, nella tecnologia e nell’innovazione. Per questo è necessario e fondamentale scommettere sui giovani e sul merito. Quest’ultimo è quella sorta di lente di ingrandimento che consente di vedere meglio e affrontare, oltre che il mondo del lavoro, anche la vita in generale in una forma nuova, positiva, che porta dei risultati.
Alcuni dati devono fare riflettere. Secondo il Censis dal 2012 al 2021 sono espatriati un milione di giovani e un quarto di questi sono in possesso di laurea. Stando alla London School of Economics, su sei milioni di italiani che vivono oltreconfine un terzo rientra nella categoria dei lavori qualificati. Se circa il 28% dei giovani che vivono in Italia sopra i 25 anni ha una laurea, tra gli espatriati la percentuale arriva al 33%. È stato calcolato che per la fuga di cervelli l’Italia ogni anno perda l’1% del Pil, bruciando miliardi di investimenti realizzati in capitale umano.
Perché i giovani fuggono all’estero? Non solo per il fatto che gli stipendi oltralpe sono mediamente superiori al 40% (dati Almalaurea), ma perché si dà più attenzione al merito ed essi hanno maggiori possibilità di ricoprire incarichi di ruolo. È quanto sperimento io stesso dal mio osservatorio privilegiato di professore presso la Link Camp University di Roma. Mi confronto spesso coi miei studenti. Questi apprezzano la qualità della vita dell’Italia, ma scelgono l’estero per fare carriera, dove sanno che possono raggiungere i propri obiettivi e dove i criteri di valutazione sono oggettivi.
Ha fatto bene il Governo Meloni a coniare la formula di “Ministero dell’Istruzione e del Merito” per il dicastero di viale Trastevere (si vuole recuperare anche una deriva che riguarda i più giovani, cioè che la popolazione scolastica negli ultimi cinque anni sia diminuita di 400mila individui). Dobbiamo trattenere i nostri giovani migliori in grado di operare nei cosiddetti megatrend. Deve fare riflettere che il 60% dei ricercatori nell’intelligenza artificiale risieda negli Usa. C’è però bisogno di un salto di paradigma, di spezzare la logica delle lobby. Quest’ultima non riguarda solo i sindacati (storicamente contrari, più o meno consapevolmente, al concetto di merito) ma anche la politica, che troppo spesso dà il cattivo esempio facendo scelte di appartenenza. A parere dell’Osservatorio Pnrr di The European House-Ambrosetti, solo il 6% dei finanziamenti previsti del Pnrr è stato speso e solo l’1% completato. La colpa è anche della mancanza di tecnici e di dirigenti dello Stato non sempre all’altezza (alcuni dei quali hanno ancora ritardi con la lingua inglese). Anche la prova delle nuove nomine ai vertici delle controllate dello Stato può essere un’occasione per cambiare direzione, per optare per il valore e il merito delle scelte. Vale esattamente il contrario dello slogan dei Cinque Stelle: uno non vale uno.