I prolegomeni della morte apparente della DC sono duplici: la caduta del Muro di Berlino e la pavida reazione politica all’inchiesta “Mani pulite” del 1992.
Il primo degli eventi cennati coinvolse la sinistra (ma non si può parlare della DC, senza coinvolgere il PCI, che a causa del suo stretto legame con Mosca la rese stabile al potere per più di un quarantennio).
Fino a quando i berlinesi – inarrestabili nella loro necessità di libertà e democrazia – il 9 novembre 1989 smontarono con le mani il Muro di Berlino, compiendo non soltanto un atto rivoluzionario, ma mostrando al mondo che il comunismo si reggeva solamente sulla imposizione, sulla dittatura.
In ciò, consentitemelo da liberale, in nulla differenziandosi da qualsiasi altro regime (fascismo compreso), così debole da non potere tollerare il confronto ed il dissenso, da non potere riconoscere il diritto alla libertà di espressione ai suoi cittadini (che senza il riconoscimento della pienezza dei loro diritti sono meri sudditi).
Occhetto, l’allora Segretario del PCI, lo capì subito e già pochi giorni dopo la caduta del Muro annunciava “fondamentali cambiamenti” alla “Bolognina” (storica sezione del partito; per i millennial più curiosi: trovate un vecchio “compagno” e fatevi spiegare cosa fossero le sezioni; oppure compratevi – e leggete! – “Lo rifarei” di Francesco Riccio).
Cambiamenti che culminarono, all’esito di un Congresso Straordinario (1991) nello scioglimento del Partito Comunista Italiano (il più grande partito comunista del mondo occidentale) e con la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) con una denominazione che voleva esaltare l’aspetto democratico. E con la solita scissione a sinistra: un centinaio di delegati non aderirono alla maggioranza e fondendosi con Democrazia Proletaria (DP) e altre formazioni comuniste minori diedero vita al Partito della Rifondazione Comunista (PRC).
Sull’altro fronte Mani Pulite, inchiesta più demagogica che giudiziale (secondo la mia come sempre opinabilissima opinione), mise a nudo per l’appunto la demagogia che dall’inizio degli anni ’80 caratterizza la politica. Indifesa, quindi, di fronte all’inchiesta della Procura milanese, che applicava leggi promulgate follemente dai Partiti della coalizione di governo: con le quali veniva stabilito che l’usuale metodo di finanziamento partitico (con le debite eccezioni) costituisse finanziamento illecito, cioè reato. Così che fu facile determinare giudizialmente la fine della Prima Repubblica. A furor di popolo, direi, scosso anche nello stesso 1992 dalle stragi in cui trovarono la morte i giudici Falcone e Borsellino.
Il quadripartito (DC, PSI, PSDI, PLI) venne, quindi, travolto da una valanga di arresti e di avvisi di garanzia, indebolito anche dalla scelta delle segreterie di non dare appoggio ai politici inquisiti e dalla decisione del neo Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, di non conferire incarichi ai politici anche solamente sfiorati dal sospetto (ne costituisce riprova l’incarico di Presidente del Consiglio al Prof. Giuliano Amato), ma soprattutto di non firmare, a marzo 1993, il c.d. “Decreto Conso”. Si trattava di un decreto legge proposto dal Ministro della Giustizia, Giovanni Conso, che depenalizzava il “finanziamento illecito dei Partiti”.
Evento anche questo che contribuì al crollo elettorale della DC e dei partiti di governo nel luglio 1993.
La morte apparente della DC accade nel 1994. Avviene alla “democristiana”, in maniera tale, insomma, che si potesse dubitare essa fosse veramente deceduta.
Con una delibera di scioglimento che non ha valore legale (tanto che ancora oggi cinque o sei formazioni litigano su chi sia il successore), che viene assunta al termine di un gennaio 1994 vivacissimo: il 18 gennaio 1994 – giorno in cui Berlusconi crea Forza Italia – Casini e Mastella fondano il CCD, al quale aderiscono 22 deputati DC; tutti gli altri aderiscono al PPI fondato lo stesso giorno.
È la data di inizio della seconda Repubblica che, nel Paese del Gattopardo dove tutto cambia perché tutto rimanga com’era, è stata caratterizzata dalla predominanza che la DC di destra (in appoggio a Forza Italia) sulla DC di sinistra, che ha cercato alleanza col PDS e creduto di trovare maggiore forza fondendosi nel PD: che quando poteva prevalere con la guida di un DC di sinistra, quale Renzi, ha avuto un rigurgito restauratore del controllo da parte dei vecchi ex comunisti regredendo nei consensi (e la segreteria Schlein mi pare una storia che si perpetua, almeno a guardare il Friuli).
Insomma la DC era apparentemente morta; ma era pur sempre la DC che litigava tra le sue correnti per stabilire chi andasse al governo (sempre per i millenials più curiosi: se volete capirci qualcosa l’unica è di comprare e leggere “La variante DC. Storia di un partito che non c’è più e di uno che non c’è ancora” di Gianfranco Rotondi).
Una storia che si perpetua anche con l’attuale governo di centro-destra, appunto: perché né la destra, né la sinistra potranno governare da soli, rappresentando entrambe percentuali minoritarie che raggiungono la necessaria maggioranza con i voti del “centro”: di quella parte della popolazione che componeva l’elettorato democristiano. All’epoca della DC c’era il c.d. “Arco Costituzionale”, che impediva ai partiti più estremisti di accedere al governo. Oggi questo non esiste più perché ritengo – ed è forse l’unico merito della mia generazione – i principi della Costituzione sono accettati pressoché da tutti (salvo fanatismo inevitabili).
La democrazia è tutelata: ed in questo va riconosciuto un merito anche a Silvio Berlusconi: non sono Calenda, posso quindi permettermi di dirlo. E lo dico da ex Repubblicano: col rimpianto che non vi sia stato nel 1992 un politico che abbia avuto la dignità e la forza e prontezza di reazione di Ugo La Malfa in relazione al c.d. scandalo “petroli”.