Pochi progetti, scarsa capacità di investire nel territorio, troppa burocrazia e anche una mancata capacità tecnica nel seguire progetti e realizzazioni. È il mix di ritardi e inefficienze che mette a rischio una buona parte dei 19,8 miliardi che l’Europa, ci ha messo a disposizione da almeno nove anni.
I fondi a rischio
Dei 64,8 miliardi di euro di fondi europei di coesione messi destinati all’Italia nel periodo 2014-2020, di cui 17 di cofinanziamento nazionale, la spesa complessiva certificata da Bruxelles al 31 dicembre scorso è stata di 35 miliardi, pari al 54 per cento dell’ammontare totale che include anche la quota che noi italiani abbiamo dovuto sostenere. “Entro il 31 dicembre 2023, data di scadenza di attuazione di questo settennato, dobbiamo spendere i restanti 29,8 miliardi (pari al 46 per cento della quota totale), di cui 10 sono di cofinanziamento nazionale”, puntualizza la società di analisi socio economico Cgia di Mestre, “Se non riusciremo a centrare questo obbiettivo, la quota di fondi Ue non utilizzatati andrà persa. Insomma, è a rischio una buona parte dei 19,8 miliardi che Bruxelles ci ha messo a disposizione da almeno nove anni”.
Personale e limiti della PA
A giudizio dell’Ufficio studi della società mestrina, le ragioni di questa difficoltà nell’utilizzare i soldi europei è nota da tempo.
“Scontiamo, innanzitutto, una grossa difficoltà di adattamento della nostra Pubblica amministrazione alle procedure imposte dall’Unione”, osserva la Cgia, “Dopodiché, la nostra macchina pubblica presenta livelli di qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese molto modesti e una efficienza che può contare ancora su ampi margini di miglioramento. Il personale, soprattutto dell’area tecnica, ha retribuzioni basse e, spesso, risulta, anche per questa ragione, poco motivato”. Una situazione che in alcuni contesti caratterizza, in particolar modo, fa presente la Cgia, “i dipendenti pubblici delle regioni e degli enti locali del Mezzogiorno”.
Responsabilità dello Stato
Va comunque segnalato che dei 19,9 miliardi di euro di risorse europee che dobbiamo “mettere a terra” entro la fine di quest’anno, 15,3 sono in capo allo Stato centrale. “Si tratta di Progetti Pon, Fesr e Fse”, spiega l’Ufficio studi, “e 4,6 alle regioni”. Insomma, sarebbe sbagliato “prendersela” solo con le amministrazioni periferiche, “la necessità di investire nel personale pubblico riguarda, purtroppo, tutti i livelli”, puntualizza la Cgia.
Progetti Pnrr in difficoltà
Come era prevedibile sono a rischio anche i fondi del Piano nazionale di ripresa. In attesa della presentazione del nuovo stato di avanzamento da parte di Italia Domani, secondo la Nota di aggiornamento al DEF (Nadef), presentata il 27 settembre scorso, entro il 31 dicembre 2022 dovremmo aver speso 20,5 miliardi di euro, praticamente la metà dei 41,4 miliardi previsti inizialmente dal Def. “In questo caso, l’aumento del costo dei materiali avvenuto nell’ultimo anno ha frenato enormemente la realizzazione di molte opere pubbliche, facendo “saltare” molti obbiettivi previsti dal Piano nazionale di ripresa”, osserva la Cgia.
Regioni del Sud in ritardo
Tornando ai dati relativi ai Fondi di coesione, al 31 dicembre scorso, dei 21,2 miliardi finanziati dall’UE e gestiti dalle nostre regioni nel settennio 2014-2020, 16,6 sono stati spesi e gli altri 4,6 dovranno esserlo entro quest’anno. “Le amministrazioni regionali più in difficoltà sono quelle del Mezzogiorno”, conclude la Cgia, “Entro la fine del 2023, pena la perdita delle risorse, la Puglia deve spendere altri 335 milioni di euro, la Calabria 616 milioni, la Campania 1,27 miliardi e la Sicilia addirittura 1,45 miliardi. In buona sostanza, al 31 dicembre scorso, la percentuale di spesa realizzata sul totale da ricevere era solo del 65,5 per cento in Calabria, del 65,7 per cento in Campania e del 64 per cento in Sicilia”.