L’ambiguità della Cina sulla guerra non sta dando i risultati sperati a Xi.
Non ha mai condannato l’aggressione russa, ha cercato di trarre il maggior vantaggio possibile comprando petrolio e gas a buon mercato dall’amico Putin. Ma paga costi elevati sul piano diplomatico e commerciale.
La Nato è più forte che mai, il Giappone si riarma, gli Usa rafforzano gli aiuti militari a Taiwan e le loro alleanze nel Pacifico. Ma c’è di più. L’Europa che Xi voleva avvicinare alla Cina nella sua strategia di dominio commerciale mondiale si è svegliata e ha capito che il suo naturale alleato in tutti i sensi rimane l’America.
Xi è a un bivio: se riesce a far ragionare Putin rafforza il prestigio della Cina e può riaprire il dialogo con l’Europa, se asseconda lo zar, magari dandogli sottobanco aiuti militari, favorisce l’escalation voluta dal Cremlino – dall’esito incerto -, si espone a pesanti sanzioni secondarie, rompe definitivamente con l’Europa e gli Usa e deve mettere nel conto i costi di una guerra commerciale di proporzioni gigantesche.
Stringendo per la 40esima volta la mano a Putin, lo guarderà dall’alto in basso Presidente per la terza volta, Xi è un leader in ascesa mentre lo zar è in forte difficoltà. colpito anche da mandato di cattura internazionale.
Un anno fa Putin lo ha deluso : gli aveva assicurato che in Ucraina avrebbe condotto una guerra lampo. E non è andata così. Forse Xi si aspettava che gli Stati Uniti mollassero Taiwan al suo destino in cambio di un intervento cinese per costringere Putin ad una marcia indietro. Calcolo sbagliato.
Da un anno Pechino è prigioniera di opposte tentazioni. Da un lato vorrebbe tornare ad essere player economico mondiale dando assicurazioni sulla sua affidabilità e sull’inesistenza di un progetto egemonico , dall’altro pensa di diventare il leader di un fronte anti-occidentale sfruttando la debolezza economica Russia e la protezione dell’ombrello atomico di Mosca e imbarcandosi in un’avventura che potrebbe bloccare la crescita dell’economia cinese.
La visita a Mosca, al di là della retorica sull’amicizia, è un’opportunità per dimostrare se davvero Xi è in grado di imprimere una svolta alla guerra. Una svolta non è la tregua, il cessate il fuoco che è alla base del piano i 12 punti lanciato dalla Cina il 24 febbraio. Biden lo rifiuta perché significherebbe prendere atto dei territori illegalmente occupati da Putin.
Se andasse a Kiev o aprisse un vero dialogo con Zelensky, Xi potrebbe almeno dare l’impressione di voler uscire dall’ambiguità con cui finora ha messo sullo stesso piano aggredito e aggressore. Probabilmente non farà nulla di particolare e tornerà ad aspettare che Putin continui a indebolirsi e che si capisca se continuerà a comandare lui al Cremlino.