Lunedi scorso, il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire ha dichiarato a Franceinfo che il governo francese è pronto a regolamentare l’industria degli influencer con l’obiettivo di garantire una maggiore protezione dei consumatori. “La rete non può essere il selvaggio West”, le sue parole.
Così, sposando la causa del rapper Booba, che dalle colonne di Liberation aveva accusato gli infuencer di esser complici di pericolose derive sociali nonché di evasione fiscale, il ministro ha annunciato che le loro attività commerciali saranno d’ora in poi soggette alle regole dei media tradizionali, di fatto equiparandole alle televendite.
Non è solo questione di regole
Problema risolto? Forse no. Perché, seppur si tratti di un ottimo punto di partenza, resta da chiedersi se questo basti. Guardando in casa nostra, è proprio dall’esperienza delle derive delle televendite che arriva una chiara indicazione, come ha messo di recente in evidenza la giornalista Selvaggia Lucarelli nel suo podcast, Il Sottosopra. Prendendo spunto dal caso di Wanna Marchi e da una sua frase divenuta celebre, la Lucarelli argomenta come la colpa della truffa non possa ricadere sul consumatore sprovveduto, ma che sia invece necessario educarlo affinché non cada più nella trappola.
Questo richiede un grande sforzo culturale, come ha sottolineato il Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, Massimiliano Dona, che dal suo podcast, Scontrini, ipotizzando che l’Italia potrebbe seguire l’esempio francese, ha sottolineato come si rischi il pasticcio: potrebbe rivelarsi inutile stabilire nuove regole in assenza di risorse per controlli e sanzioni. Ma “soprattutto, serve lavorare su una sensibilità nuova di tutti noi consumatori e su questo si può fare un lavoro egregio coinvolgendo gli stessi creator, riconoscendo anche le nuove professioni che nascono intorno al digitale”.
Si tratta, dunque, di una questione più complessiva che, investendo la società, non può da questa prescindere. Se, infatti, da un lato solo in Europa si contano piú di 10 milioni di influencer e dall’altro il marketing aziendale ha capito che ormai i brand si costruiscono online insieme ai consumatori, non possono essere le sole regole stabilite a tavolino a definire l’esito di un percorso più ampio che, se vede nelle regole la necessaria funzione di definire il campo di gioco, ha altrettanto bisogno di giocatori che sappiano giocare correttamente in quel campo. Insomma, uno stato mamma va bene fino a un certo punto perché, prima o poi, tocca diventare adulti.