Portare la platea delle neo pensionate da 2.900 a 13.200 donne. È l’obiettivo dei sindacati che non dispiace, almeno in teoria, alla ministra del lavoro Marina Calderone, che comunque dovrà tenere conto delle valutazioni e calcoli dei tecnici del suo ministro e quelli dell’Economia e Finanze. Su Opzione donna, il Governo spera di essere in dirittura d’arrivo con il semaforo verde ad alcune modifiche. Tra le novità quella di eliminare il controverso (e a rischio di costituzionalità) criterio dei figli e di abbassare l’età minima necessaria per accedere alla misura, che permette l’uscita dal lavoro anticipato. Se ci saranno queste opportunità le proiezioni dicono che a fare domanda sarebbero pronte oltre 13 mila lavoratrici.
Restrizioni e allentamenti
Arrivare a concretizzare questa ipotesi tuttavia non sarà facile. Come è noto tra le critiche di sindacati e opposizioni la Manovra di Bilancio 2023 ha introdotto per l’anno in corso delle restrizioni per Opzione Donna. Restano i contributi a 35 anni ma l’età pensionabile è salita a 60. Soglia che è ridotta di un anno per ogni figlio quindi 59 anni, e 58 anni con due o più figli. Possono usufruire di uno sconto di età, in questo caso 58 anni tre categorie di lavoratrici: quelle licenziate o dipendenti da imprese in crisi, le caregiver, o le invalide al 74%. Strettoie che sono in procinto di saltare.
Pressing per tornare al 2022
Misure che per i sindacati sono penalizzanti e chiedono una svolta con il ritorno alla posizione precedente. Quella in vigore nel 2022: uscite a 59 anni per tutte le lavoratrici con 35 anni di versamenti, scendendo a 58 per alcune specifiche categorie. Oppure un allentamento della attuale situazione. Le richieste per ora sono rimaste in “elaborazione” sui tavoli del confronto tra tecnici dei ministeri del lavoro e dell’economia. L’ipotesi che pure viene caldeggiata è una riduzione temporanea delle maglie quindi una finestra per soli 6 o 9 mesi. Ma sarebbe una soluzione temporanea che non risolve il problema.
Lo stallo e il nodo dei conti
Di fatto si assiste ad uno stallo che mette in difficoltà tutti. Il nodo rimane quello delle risorse finanziarie, una situazione che sconfina nell’enigma. I sindacati hanno più volte sollecitato il recupero di risorse con il tagli degli extra profitti che le società energetiche avrebbero dovuto pagare. A novembre 2022 i versamenti della tassa sugli extraprofitti delle imprese dell’energia ammontavano a circa 2,7 miliardi di euro. Pochi rispetto ai calcoli di Cgil, Cisl e Uil, inoltre sulla tassa sono piovuti ricorsi e anche osservazioni degli industriali rivolte ai sindacati di non “suggestionare la piazza”, con i possibili introiti degli extra profitti delle imprese energetiche.
Previdenza tra annunci e rinvii
Se ci sarà una rimodulazione della legge in favore dei sindacati, le soglie per l’uscita anticipata delle lavoratrici permetterebbe di far salire sulle 13mila le donne interessate a Opzione Donna. La spesa per l’Inps sarebbe di circa 90 milioni il primo anno per poi salire a 240 e 300 milioni, nei prossimi due anni. Costi sui quali i ministeri riflettono. La ministra Marina Calderone a febbraio aveva annunciato una sintesi delle proposte da portare sul tavolo dei sindacati, ma le modifiche al “cantiere” previdenza non appaiono a portata di mano. Si guarda ormai ad Aprile e al Documento di economia e finanza (Def) dove sarà possibile valutare lo stato delle risorse messe in campo. Comunque sia la riforma della previdenza rimane ancora una volta una incompiuta legata allo stato delle finanze e, come lamentano i sindacati, senza tenere in considerazione le condizioni precarie dello stato sociale.