L’ospite inatteso, rispetto ai passati annunci di crescita, è l’inflazione che costerà alle famiglie 163,8 miliardi di euro. Per essere precisi meno 6 mila 338 euro a famiglia. Per dire l’ampiezza del buco provocato dall’inflazione, un solo paragone con il passato, – quando nel 1992 il prelievo straordinario dell’allora presidente del Consiglio, Giuliano Amato – costò alle famiglie 5.250 miliardi di lire, ovvero 2,7 miliardi di euro. Trentuno volte meno del prezzo pagato per inflazione 2022-23. Analisi, cifre e prospettive (compreso il ruolo della Bce e delle Banche nazionali) sono presenti nella indagine dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre.
I miliardi inghiottiti dall’inflazione
La “sforbiciata” da 163,8 miliardi di euro è stata innescata da due anni di inflazione, ma come si è giunti a questo risultato? l’Ufficio studi ipotizza che i 1.152 miliardi di euro presenti nei conti correnti bancari non abbiano registrato alcuna variazione nell’arco temporale preso in considerazione. In secondo luogo, dopo aver stimato che nel biennio 2022-2023 l’inflazione crescerà di quasi il 15 per cento (+8,1 l’anno scorso e +6,1 quest’anno), il calcolo della perdita di potere d’acquisto dei risparmi è presto fatto. “L’esito emerso da questa elaborazione”, sottolinea la Cgia è ‘spaventoso’: “praticamente ci troviamo di fronte a una patrimoniale da quasi 164 miliardi di euro che a ogni singolo nucleo familiare costerà mediamente 6.338 euro”.
I cittadini più colpiti
A livello territoriale, nel biennio 2022-2023 il costo più salato lo soffriranno le famiglie delle regioni più ricche: in Trentino Alto Adige la perdita di potere di acquisto medio sarà pari a 9.471 euro, in Lombardia di 7.533, in Emilia Romagna di 7.261 e in Veneto di 7.253. “A livello provinciale, invece, la “patrimoniale” colpirà, in particolar modo, le famiglie residenti a Bolzano”, evidenzia l’Ufficio studi, “che subiranno un prelievo medio di 10.542 euro. Seguono Milano con 8.500, Trento con 8.461, Lecco con 8.201 e Treviso con 7.948”. Le famiglie meno “colpite”, invece, saranno quelle ubicate in provincia di Siracusa con 3.842 euro, Trapani con 3.595 e Crotone con 3.130.
Il paragone unico con il ‘92
A distanza di oltre 30 anni, molti ricordano ancora con grande sdegno il prelievo straordinario del 6 per mille applicato dall’allora Governo Amato sui conti correnti degli italiani. “Nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, infatti, quella misura costò alle famiglie italiane 5.250 miliardi di lire, ovvero 2,7 miliardi di euro”, puntualizza la Cgia, “Attualizzando questo importo, il prelievo si attesta a 5,3 miliardi di euro; praticamente un ‘sacrificio’ economico 31 volte inferiore a quello stimato dall’Ufficio studi della società mestrina, “163,8 miliardi di euro) nel biennio 2022-202”.
Alzare gli interessi sui depositi
Lo studio della Cgia mostra anche un altro paradosso costoso per le famiglie. Almeno di quelle che hanno risparmi in banca. “Con un tasso di interesse praticato dalla Bce che lo scorso dicembre si è attestato per quasi tutto il mese al 2 per cento ovvero, lo stesso di quello che avevamo nel febbraio del 2009, che effetti economici ha prodotto a un ipotetico correntista?”, si interroga l’Ufficio studi, “Se 14 anni fa il tasso attivo era dello 0,75 per cento, 2 mesi fa si è attestato allo 0,12 per cento, provocando uno svantaggio per il risparmiatore dello 0,63 per cento. In altre parole”, puntualizza l’Ufficio studi, “a fronte di 10 mila euro depositati nel conto corrente, rispetto al 2009 ci troviamo con 63 euro in meno in un anno”.
Cittadini in perdita banche al top
“Se, come sostengono molti esperti, entro la fine del 2023 il tasso salisse al 4 per cento”, prosegue la società di analisi socio economiche, “raggiungendo lo stesso livello toccato tra il luglio 2007 e il giugno 2008, sui nostri ipotetici 10 mila euro depositati in banca perderemmo 107 euro”. Non si tratta di cifre particolarmente importanti, “tuttavia se le banche tornassero a riconoscere un leggero aumento dei tassi attivi sulle somme libere depositate nei conti correnti”, calcola la società mestrina, “la clientela potrebbe almeno coprire i costi fissi. Cosa, invece, che è stata praticata dagli istituti sulle somme vincolate, anche se, molto spesso, per tantissimi correntisti districarsi tra un ‘mare’ di offerte è estremamente difficile”. “Uno sforzo economico, quello che dovrebbero sostenere le banche se ritoccassero all’insù i tassi sui risparmi non vincolati”, propone la Cgia, “tranquillamente sostenibile, visto che nell’ultimo anno le cose sono andate molto bene. I cinque più importanti istituti nazionali – Intesa, Unicredit, BancoBpm, Monte Paschi e Bper – hanno chiuso il 2022 con utili netti pari a 12,7 miliardi. Un aumento del 65 per cento rispetto al 2021”.