venerdì, 20 Settembre, 2024
Cultura

“Come tu mi vuoi”, le menzogne della verità

“Io son colei che mi si crede” è la frase cardine di “Così è se vi pare” capace di sintetizzare l’intera ricerca letteraria ed esistenziale di Luigi Pirandello, che percorre tutte le opere di questo autore che non fornisce risposte, ma è magistrale nel sollevare le domande capitali per ogni essere umano. Chi sono? Cosa so di me? Cosa gli altri credono che io sia? Nello spettacolo “Come tu mi vuoi”, andato in scena al Teatro Quirino, l’apertura è affidata al nome proprio invocato a voce alta.

Già questa prima scelta, ci dà il termometro della sapienza del regista Luca de Fusco, perché nome e identità sono stretti in un abbraccio mortale, che sempre sottrae e mai aggiunge alla verità. Nella non scelta del nostro nome di nascita, noi portiamo in sorte la non scelta di ciò che gli altri vedono di noi, perché l’identità che ci viene attribuita è una materia che si impasta di bisogno, caos, desiderio e resistenza dell’altro che ci guarda. Ma neppure questo basta alla maschera artigiana che vivendo poniamo sulla nostra anima: noi stessi, in un gioco di specchi, sapientemente riprodotto nella scenografia dello spettacolo, scrutiamo, annusiamo cosa corrisponde meglio al sentimento dell’altro e, per essere accolti, ne assumiamo la posa.

Leggendo il copione di “Come tu mi vuoi” troviamo paradossalmente un faro nel buio del non detto“: L’IGNOTA Ma aspetti lei a ringraziar Dio. Io ho ringraziato lei per la soddisfazione che m’ha data affermando così forte il mio diritto a mentire, data la vita che faccio. Vuoi ti dia conto delle mie menzogne? E dallo tu a me delle tue! SALTER. Io non ho mai mentito! L’IGNOTA. Tu? Ma se non facciamo altro, tutti! Mentisci a te stesso, anche con le tue schifose sincerità, perché poi non è neanche vero che sei cosi spaventoso. Consolati con questo: che nessuno veramente mentisce del tutto. Tentativi di darla a bere, agli altri e a noi stessi! Quattr’anni fa, caro, può essermi morto « qualcuno », se non mio marito; e qualcosa di vero, dunque, esserci in quasi tutte le menzogne che diciamo.” E non è forse vero che si mente per nascondersi, ma che si mente anche per rivelare ciò che la maschera che ci sta incollata in viso ci impedisce di mostrare? Spesso l’interpretazione di una menzogna racconta molto di più di un uomo e del suo carattere di quanto possa mai fare un esibizione.

In una scenografia ispirata alla galleria degli specchi de La signora di Shangai di Orson Welles, i frammenti del proprio riflesso rimanderanno alla protagonista l’inquietudine fondamentale del suo personaggio: rivedersi le richiamerà l’incubo di non conoscersi. Un capolavoro della maturità di Pirandello, forse in assoluto il meno frequentato, scelto da un regista come Luca De Fusco che ha invece molto frequentato l’autore siciliano e che decide di portarlo ora in scena con una delle stelle nascenti del panorama attoriale italiano, Lucia Lavia, certamente all’altezza della grande interpretazione che pretende un testo tanto aspro, ostico e misterioso. Con Come tu mi vuoi De Fusco prosegue nella sua ricerca su Pirandello, ma lo fa – tra l’altro da direttore del Teatro Stabile di Catania – con l’intenzione di inaugurare un preciso progetto volto a illuminare le aree meno consuete del repertorio pirandelliano.

E come già con Così è (se vi pare) si allontana da ogni connotazione caricaturale dei personaggi per lasciare avanzare atmosfere quasi cinematografiche, da noir anni ’40, e sottolineare la drammatica, solitaria chiusura di tutti i personaggi, a cominciare proprio dall’Ignota, con la sua ricerca sull’identità personale. Così De Fusco proseguirà la sua storica collaborazione con la scenografa Marta Crinolini Malatesta e anche con Gigi Saccomandi, che userà le luci proprio come ritagli di inquadrature cinematografiche, anch’esse al servizio di un Pirandello cupo e carico di esistenzialismo, più che mai vicino al nostro tempo. Alcuni sostennero che Pirandello si ispirò per l’opera al caso dello smemorato di Collegno, noto anche come caso Bruneri-Canella, un famoso caso giudiziario e mediatico che si svolse in Italia tra il 1927 e il 1931, riguardante un individuo affetto da amnesia ricoverato presso il manicomio di Collegno. Egli fu identificato dalle rispettive famiglie sia come il professor Giulio Canella, disperso durante la prima guerra mondiale, sia come il latitante Mario Bruneri. La questione della sua identità fu oggetto di discussione sia sui giornali sia nei tribunali. Sebbene il processo civile avviato per la sua identificazione avesse stabilito che lo smemorato fosse in realtà Bruneri, la famiglia Canella continuò a riconoscerlo come il proprio congiunto. Pirandello smentì sempre questa attribuzione e, a guardare bene nella sua vita, c’è da credergli.

Luigi Pirandello sposò Antonietta Portulani, per un matrimonio combinato, ma la coppia si innamorò in modo profondissimo. Eppure la malattia mentale della moglie, affetta da schizofrenia paranoide, gettò un pozzo nero, un baratro insanabile tra le due personalità, che condusse, infine, un disperato Pirandello ad accettare il ricovero di sua moglie in una clinica psichiatrica a Roma. I due non si riconoscevano più, eppure l’autore non si risposò mai, né sostituì quella figura tanto amata, ma restò solo tutta la vita: il mistero della malattia aveva vinto sull’incontro. Lo spettacolo sarà a Firenze dal 21 al 26 febbraio e a Trieste dal 13 al 16 aprile.

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