Scomparso senza lasciare traccia, durante il quinto e ultimo volo di ricognizione col suo aereo, come il Piccolo Principe del suo racconto, Antonio de Saint-Exupéry è l’autore più presente e abissale al mondo, perché ci pone davanti alle questioni più difficili da possedere interamente: la verità e il significato dell’esistenza. “Il piccolo principe” scritto dall’autore nel 1943 è un capolavoro di simboli e sostanza, tutto ciò di cui l’essere umano più abbisogna e quanto di più è mancante e incessantemente alla ricerca. Già scrivere di questa opera vuol dire circoscriverla e ridurne il mistero, profondissimo, quanto il “significato dell’esistenza” su cui si è costantemente interrogato l’autore: tutte le sue opere sono graffiate da questo interrogativo che lacera, come il tempo di guerra e orrore in cui egli è vissuto, la seconda guerra mondiale.
E se una prima grande guerra (col suo numero di morti superiore da sé a tutte quelle combattute dalla storia fino a quel momento) non è bastata all’uomo a dedicare ogni sua fibra all’amore, la storia ci ha consegnato un libro “Il piccolo principe”, figlio di quella guerra e della miracolosa grazia d’amare che dimostra che non tutto è inghiottibile dall’orrore, dall’inimicizia, sempre comunque possibile, sempre a portata d’animo per l’uomo. Questo libro andrebbe tenuto in ogni casa, come la Bibbia (che sola gli è superiore in numero di traduzioni) e riletto e meditato nel tempo, perché sempre ha da aggiungere, correggere, sollecitare.
Chi decide di portare in scena questo racconto sa che affronta un setaccio e un confronto col testo che inquieta e responsabilizza, ma, oltre a compiere un atto di coraggio, rende un servizio necessario, che non risente dello scorrere del tempo. Oggi come allora “Il Piccolo Principe” è un’opera necessaria e Stefano Genovese ha ben scelto nell’incaricarsi di questo compito, perché l’opera non è una fiaba per bambini, è un’educazione per bambini e una ben più dura rieducazione per gli adulti e saperla portare a tutti, rendere universale e contemporaneo un messaggio che, per fare bene il suo lavoro, deve entrare nella carne, vuol dire muoversi in modo funambolico e multidimensionale.
Lo spettacolo teatrale “Il piccolo principe” prodotto da Razmataz Live e diretto da Stefano Genovese, ha debuttato a Roma al Teatro Sistina, dove è rimasto fino al 12 febbraio, per spostarsi dal 16 al 19 febbraio al Teatro Celebrazioni di Bologna, dal 23 al 26 febbraio al Teatro Colosseo di Torino, dal 2 al 5 marzo al Tuscany Hall di Firenze, e dal 23 marzo al 2 aprile al Teatro Repower di Milano, per poi approdare in Francia il prossimo autunno e ad Amsterdam, Berlino, Dublino, Lisbona e Madrid nel 2024.
“IL PICCOLO PRINCIPE” è un racconto che conduce dall’io al noi, attraversando il deserto interiore ed esteriore che ci separa gli uni dagli altri, un deserto necessario per incontrare anche la propria storia, riguardarla con gli occhi di chi ha compreso come si fa ad amare, il compito più alto e difficile per ogni essere umano. Già nella dedica iniziale “A Leon Werth” che “ha fame, ha freddo e molto bisogno di essere consolato” si può apprendere cosa sia la vera amicizia: un’altra forma di amare. Leon Werth era un grande scrittore francese di origine ebrea, diversissimo per natura e stile da Antoine, di vent’anni più giovane, ma suo mentore e confidente. Durante l’invasione tedesca Leon Werth fu costretto a scappare per via delle sue origini e Antoine non ebbe più sue notizie tormentandosi “Colui che questa notte ossessiona la mia memoria ha cinquant’anni. È malato. Ed è ebreo. Come potrà sopravvivere al terrore tedesco? “.
Fatalmente Leon sopravviverà e scoprirà a fine guerra del racconto “Il piccolo principe” a lui dedicato. Dirà Leon Werth “la pace non è una vera pace senza Antoine”, perché pur sopravvissuto, la morte dell’amico resterà un dolore insanabile. Non è forse questa la vera amicizia? Attraverso lo spettacolo di Genovese, il piccolo principe, ci conduce su diversi paesi, che costituiscono le questioni umane con cui è necessario fare i conti. Ne cito solo una, centrale, capitale, inesauribile, in cui ognuno si potrà porre le proprie domande e cercare risposte attraverso la guida e la purezza di questo piccolo principe, incantevolmente interpretato da questo attore di otto anni che è Gabriele Tonti: l’incontro con la volpe, che spiega al piccolo principe che “non si conoscono che coloro che si addomesticano” e che “non si vede bene che col cuore; l’essenziale è invisibile agli occhi.” Creare dei legami presuppone un tempo che deve riempirsi di costanza e progressione, per entrare profondamente nell’altro, conoscerne le pieghe più segrete dell’animo.
Questo è il tempo che crea e svela l’unicità dell’altro, mai replicabile, mai barattabile con la soddisfazione d’accumulo data dalla vanità (Antoine considerava i vanitosi delle persone realmente malate, come scrive in “Lettera a un ostaggio”). Il piccolo principe impara, comprende, si sente sciocco per aver cercato lontano quello che aveva nel suo pianeta e si duole al punto di voler tornare dal suo fiore.
Quanti sanno farlo? Quanti sanno restare? È questo che il piccolo principe, attraverso la sua esperienza, forse, vuole insegnare: a non andare via. Il ritorno a casa, infatti, non è senza peso, richiede una morte, un cambiare corpo.
Uno dei valori di questo spettacolo è l’apertura mantenuta verso il non detto; la morte è sottintesa, non rappresentata chiaramente, il personaggio del serpente non è presente, forse per non turbare i bambini che capiscono molto prima dei grandi, forse per permettere a noi di restituire simbolo e significato a questa grande maestra.
Lo show firmato Razmataz Live è una rappresentazione unica nel suo genere, che si snoda attraverso gli innumerevoli linguaggi che la narrazione, la musica, il canto, la scenografia e, più in generale, la performance offrono. In equilibrio tra prosa, musical, nouveau cirque e installazione, ogni significato, ogni personaggio, ogni snodo della vicenda attinge al codice più adatto ad arrivare allo spettatore.
«Ciascuna scena non si ferma agli occhi o alle orecchie o all’olfatto» – racconta il regista Stefano Genovese – «Quelli sono solo porte sensoriali per arrivare alla destinazione finale: il cuore di ogni spettatore».
Lo spettacolo vede alternarsi due attori in erba di appena 7 anni, il romano Alessandro Stefanelli e il pontino Gabriele Tonti, nel ruolo del piccolo principe, con Davide Paciolla ‘aviatore’, Adele Tirante ‘rosa’, Matteo Prosperi ‘re’ e ‘geografo’, Vittorio Catelli ‘lampionaio’,Ludovico Cinalli ‘volpe’, Giulio Lanfranco ‘affarista’ e ‘ubriacone’.
Tutti diretti dal regista Stefano Genovese per una produzione siglata Razmataz Live. Lo show ricorre felicemente a musiche e canzoni che hanno segnato la storia della musica italiana – come ‘Volare’ di Domenico Modugno, ‘Azzurro’ di Paolo Conte portata al successo da Adriano Celentano, ‘La Cura’ di Franco Battiato – e di quella internazionale.
Oltre ad offrire performance che vanno dal balletto all’acrobazia circense, dagli effetti scenografici a quelli illusionistici, alternando prosa, mimo, musica, coreografie.