Al termine di una settimana particolarmente densa di soperchierie vissute direttamente o riferitemi da amici e clienti, non riesco a parlare di grandi problemi. Ma solo a manifestare la mia rabbia per non essere riuscito a convincere nessuno di due riforme piccolissime e di una un tantino (ma non molto) più complessa: che propongo all’attenzione dei miei lettori, i quali magari potrebbero concordare.
La prima riforma attiene alla risoluzione dei contratti di fornitura (di telefonia, energia, servizi video, etc.) che oggi si aprono facilmente, per telefono. Provate a disdire, però: improvvisamente torna la necessità della raccomandata postale (le PEC sono abilmente celate e il call center non le rivela neppure sotto tortura) e di una serie di formalità, senza le quali il vincolo non si cancella.
Ecco, la mia proposta è di una legge che stabilisca che il contratto si può risolvere con le medesime modalità con cui è stato aperto. Non serve altro.
La seconda è la privacy: la legge, al contrario dei suoi obiettivi, anziché difenderla, sembra essere lì per consentirne la violazione legale. Io stesso nella sola giornata di ieri avrò dato almeno venti volte il consenso perché si facciano e divulghino i fatti miei. Basta andare su un sito web e rendersi conto che se accettate andate avanti, altrimenti dovrete dedicare il tempo non a cercare l’argomento che vi aveva indotto a navigare, ma a stabilire cosa volete tollerare e cosa no. Per fretta e colpevolmente pericolosa noncuranza accetto la qualunque.
La proposta mia sarebbe semplice: un avviso che anziché dirti che la tua privacy gli sta a cuore e che, quindi, ti consiglia di accettare tutto, ti dica che non violerà la tua privacy, salvo che tu non voglia espressamente consentirlo, approfondendo il tema e dando specifiche autorizzazioni.
La terza attiene all’infinità di contratti, dichiarazioni e prese d’atto che ti fanno firmare per accedere a un servizio bancario o assicurativo: mercoledì ho dovuto aprire un conto corrente non affidato e senza richiesta di carta di credito o di bancomat ed ho dovuto mettere 23 firme su documenti che non ho la più pallida idea di cosa dicessero, che se avessi voluto leggere e capire sarei ancora in agenzia e sui quali non avrei avuto alcun potere negoziale.
Ho firmato tutto; spero solo di non avere dato alla Banca anche il consenso alla tortura.
La questione sulla validità di questi contratti è discussa anche in Cassazione, ma è una ipocrisia che sarebbe ora di cancellare. Basterebbe un modulo contenuto in due facciate A/4, senza spazi tra le righe e ad un carattere leggibile (direi Times 11), che chiarisca i diritti del cliente. Tutto ciò che non è negoziabile per il cliente dovrebbe non essere firmato e accettato, ma contenuto in una legge valida per l’intero sistema bancario. Mi piacerebbe che questo regolamento inibisse l’abuso del blocco dei conti correnti con quelli che a me paiono pretesti, magari semplicemente perché il documento di identità del correntista è scaduto. Ma studierò e vi dirò (intanto vi dico che nessun cittadino italiano è obbligato per legge a possedere un documento, salvo la patente quando stia conducendo un veicolo).
Concludo con la narrazione di una vicenda che a me pare assurda è che è al limite della frode processuale: per la quale avrei una proposta.
Una piccolissima questione che il nostro Ordinamento, cui non importa sia veramente risolta, tratta alla stregua di quelle economicamente più consistenti: con tanto di avvocati, fascicolo, spese e lunghi termini giudiziari: a tutto vantaggio chi voglia approfittarsene e moltiplicare l’importo.
Una Signora per me di molto riguardo – amministratrice di una società mia cliente – mi manda un atto giudiziario da lei ricevuto. Si trattava di un decreto ingiuntivo, emesso da un Giudice di Pace di una città meridionale, con il quale le veniva ingiunto il pagamento di € 140,00 per prestazioni sanitarie ricevute nel 2015. Dal ricorso scopro che la società richiedente (che di mestiere compra crediti a scatola chiusa) avrebbe acquistato dagli eredi, tutti i crediti professionali astrattamente riscuotibili ed esigibili da un defunto dottore; crediti non indicati, ma inviduabili dalla stessa acquirente dall’esame della contabilità. Tra questi crediti – narra il ricorso – una fattura di € 140,00 intestata a una clinica privata con oggetto una prestazione a favore della mia amica amministratrice. La società afferma che non risulta che la clinica abbia pagato il medico; ritiene, quindi, la paziente obbligata in solido (significa che se non paga l’uno deve pagare l’altro) e si rivolge a un giudice di pace scelto con criteri di convenienza. Ottiene in breve da quel giudice – in un procedimento che non prevede di sentire l’altra parte – l’ingiunzione di pagamento di quei 140 Euro; oltre interessi e spese. Con provvedimento immediatamente esecutivo (significa che da subito si può richiedere il pignoramento).
L’atto notificato alla mia amica, è infatti accompagnato da un precetto: ti intimo di pagare € 140, più gli interessi, più le spese del ricorso per decreto ingiuntivo, più le spese del precetto. Siamo all’incirca sugli € 1.200,00, quasi dieci volte il debito originale.
Il mio (vile, ma pratico) consiglio di chiamare e offrire 5-600 Euro e chiuderla lì non viene accettato: lei protesta che la clinica ha certamente pagato il medico e che, comunque lei aveva l’Assicurazione.
Procedo e affido la difesa ad una giovane bravissima mia collaboratrice.
Questa fa il suo lavoro con grande serietà e, per un presunto debito di € 140,00, quindi, redige una opposizione, con la quale: a) eccepisce l’incompetenza territoriale del giudice che ha accolto il ricorso; b) eccepisce la prescrizione; c) chiede di chiamare in causa la clinica, come soggetto principale obbligato; d) chiama in garanzia l’Assicurazione.
Il giudizio diventa così con quattro parti e la questione del credito è divenuta solamente marginale.
Ma non basta. Il preteso creditore, prima che il giudice (mai tempestivo in Italia) blocchi il titolo, esegue un pignoramento in danno della amministratrice, bloccando un suo conto corrente. Da qui altra opposizione e altro giudizio in Veneto (luogo del pignoramento): mentre l’importo richiesto, gravato di altre spese ha quasi raggiunto i duemila Euro.
Da qui la mia proposta, che non riguarda il processo, ma la cessione dei crediti a prezzi sviliti, divenuta una prassi (specie nel settore bancario) e una speculazione a danno dei cittadini: evitabile stabilendo un diritto di prelazione a favore del debitore, magari con un x per cento in più del prezzo di cessione. Ne riparleremo.