In sordina . Ma la notizia ha generato nella mente (e nelle tasche) di inquilini e piccole imprese commerciali un fragore straordinario. Si tratta del cosiddetto indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), che, applicato ai canoni di locazione, è salito in un sol colpo per affetto dell’inflazione – rispetto a dicembre 2021 -, del’11,3%. In altri versi un aumento improvviso a doppia cifra. Basta pensare che chi paga un canone di locazione mensile di mille euro l’aumento comporta già un esborso mensile maggiorato di 113 euro portando il costo del canone di locazione a 1.113 euro al mese. Un rialzo dirompente che mette molte famiglie in ulteriori difficoltà e per i piccoli esercizi commerciali il rischio concreto di abbassare le saracinesche. Gli affitti al pari di molte altre spese, incomprimibili, vanno onorati, altrimenti, fine del contratto e magari un esborso aggiuntivo per le penali.
Il 17 gennaio scorso l’Istat ha pubblicato l’indice dei prezzi al consumo per le rivalutazioni monetarie sui dati di dicembre 2022. In questo caso entra in gioco l’Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati che segnala una variazione annua rispetto a dicembre 2021 pari all’11,3%. L’aggiornamento del canone di affitto segue un percorso prestabilito, in quanto per i calcoli si prende in considerazione l’indice Foi del mese che precede la scadenza del contratto. Da questo dato scattano gli aumenti che non sono da poco: la rivalutazione
è al 100% per i contratti di affitto che hanno una formula 4 anni + 4 anni e del 75% nel caso di contratti di locazione commerciale 6+6. Facendo alcuni calcoli sempre con un affitto di 1000 euro – in questo caso un locale commerciale – con una rivalutazione al 75% di quel 11.3% di aumento si arriva all’8.475%, che è l’importo aggiuntivo che l’impresa deve versare al proprietario, tradotto in soldi 84.75 euro in più, in totale 1084.75 euro al mese. Complessivamente mille euro in più l’anno. Per gli affitti a persone e famiglie la rivalutazione sale al 100%, quindi la cifra di compensazione è sensibilmente più alta.
La corsa dei canoni d’affitto
Secondo l’ultimo aggiornamento realizzato da Abitare Co. negli 8 maggiori capoluoghi i canoni di un bilocale sono cresciuti dal 2015 di oltre un quarto, in media e senza considerare le bollette, fino a punte del 40%. Oltre agli inevitabili aumenti, bisogna poi aggiungere un incremento anche del 50% delle spese condominiali. Un balzo che secondo le Associazioni dei consumatori porterebbe il canone totale mensile a un livello non più sostenibile per molte famiglie che sono costrette o a ridurre altre spese, o a cambiare casa.
Gli aumenti nelle città
Le principali città italiane segnano aumenti considerevoli e tra queste ai primi posti c’è Roma. Nell’arco di 7 anni 2015-2022, nella Capitale per un bilocale di 70 mq, si paga 1.365 euro (+20% sul 2015): da 700 euro (+33,3%) in periferia. Per gli immobili di pregio 2.050 euro (+14,4%). A Milano, con 1.300 euro medi (+17,4%): da 720 euro in periferia (+15,1%) a 1.930 euro (+24,1%) per gli immobili di pregio.
Aumenti significativi si registrano inoltre a Firenze (+35% in media): dai 760 euro della periferia (+32,7% in 7 anni) ai 1.530 euro del pregio (+42,9% dal 2015).
L’inflazione mangia redditi
Gli aumenti sono innescati dall’inflazione che non ha un effetto sul rialzo del prezzo delle merci, ma ne ha diversi, dove è prevista una “compensazione”, ad esempio, sulle pensioni per le quali scatta la “rivalutazione Istat”. Stesso discorso per altri settori come il canone di affitto. In virtù del fatto che essendo un costo deve essere adeguato all’andamento dei prezzi. La locazione che si paga al proprietario dell’appartamento è soggetta quindi a rivalutazione annuale periodica. Il prezzo di affitto può rimanere anche inalterato, ma serve una clausola nel contratto che blocca l’adeguamento del canone alle variazioni rilevate dall’Istat. Il più delle volte però non è così.
Aiuto con la Cedolare secca
Per le piccole imprese commerciali che devono pagare affitti sempre più onerosi dal novembre scorso, tra le prime decisioni del nuovo Governo in materia fiscale c’è un aiuto con la “cedolare secca”. La decisione alla luce dei nuovi maxi aumenti potrebbe avere effetti positivi sia per i proprietari che per gli inquilini. A sottolinearlo è il il viceministro delle finanze Maurizio Leo: “Nel momento in cui chi dà il locazione un immobile che ha un carico fiscale inferiore non è escluso che ci sarà uno spazio negoziale per cui il soggetto conduttore potrà chiedere una riduzione del canone”. Proposta sulla quale è d’accordo la Confcommercio che rilancia, “la cedolare secca sulle locazioni degli immobili ad uso commerciale, con beneficio condiviso tra locatore e conduttore attraverso il contenimento e la riduzione dei canoni, è una misura che va nella giusta direzione”. A salvarsi dagli aumenti di affitto saranno solo quelli a cui è applicata la cedolare che sono esenti dalla rivalutazione annuale e rimarranno a prezzo bloccato per l’intera durata del contratto.