In un comunicato Amnesty International denuncia un’ondata di sentenze di morte in Algeria, dopo i disordini violenti in Cabilia risalenti all’agosto del 2021, quando fu linciato dalla folla un presunto “militante” e sono stati appiccati incendi. Già dall’aprile 2021 Algeri aveva fatto ampio ricorso all’art, 87 bis del suo Codice penale per perseguire attivisti, difensori dei diritti umani e giornalisti per crimini connessi al “terrorismo”.
Le 54 condanne a morte sono state sentenziate dopo una serie di processi irregolari, dell’uso della tortura e con il sospetto che alcuni dei condannati abbiano scontato la loro “affiliazione politica”. Secondo Amnesty, almeno sei sono stati condannati perché affiliati al Movimento per l’autodeterminazione della Cabilia (Mak), bollato come organizzazione terrorista da Algeri.
Il linciaggio di una persona, secondo Amnesty, è stato solo il pretesto per condanne di sapore politico. Secondo quanto dichiarato da un giudice della difesa, almeno cinque imputati condannati hanno riferito di essere stati sottoposti a scosse elettriche e a tentativi di waterboarding e minacce di stupro. “Ricorrendo alla pena di morte in processi di massa dopo processi ingiusti, le autorità algerine non solo rivelano il loro totale disprezzo per la vita umana, ma mandano anche un agghiacciante messaggio su come la giustizia viene amministrata oggi in Algeria.
Praticare la pena di morte non è mai giustificabile, qualunque sia il crimine commesso. Queste spietate sentenze capitali e detenzioni devono essere subito invalidate. Tutte le accuse di tortura e altri maltrattamenti devono essere indagate prontamente, come devono essere ripetuti per tutti coloro che sono stati giudicati in contumacia o per le loro idee politiche”, scrive Emma Guellali, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, citata nella nota.