Sono 1.500 gli arresti in Brasile dopo l’assalto alle istituzioni che per alcune ore ha fatto vacillare la democrazia del gigante sudamericano. Il Paese si è risvegliato ancora sotto shock per l’attacco sferrato domenica da migliaia di seguaci di Bolsonaro alle sedi dei tre poteri simbolo dello Stato, ovvero Parlamento, Governo e Corte suprema. Per cercare di capire come sia potuta accadere una cosa del genere, il Senato brasiliano costituirà una Commissione d’inchiesta parlamentare.
Per un paio d’ore il popolo bolsonarista si è abbandonato a ogni tipo di devastazione negli edifici che si affacciano sulla Piazza dei Tre Poteri. Ricordando quanto realizzato a Capitol Hill dai seguaci di Donald Trump, i ribelli brasiliani hanno sfondato porte, infranto vetrate e vetrine, sfasciato sedie e tavoli, saccheggiato armadi, sfregiato quadri d’autore e perfino compiuto gesti oltraggiosi.
Il ministro della Comunicazione, Paulo Pimenta, ha assicurato che c’è stato chi “ha orinato e defecato nel Palazzo del Planalto”, sede del Governo. La solidarietà al presidente Luiz Inacio Lula da Silva è arrivata immediata da tutto il mondo, dagli Usa all’Italia, dalla Cina alla Russia, dall’Ue a Messico e Argentina. I media hanno evocato “l’atto più grave contro la democrazia brasiliana dalla fine della dittatura”, ma la polizia si è mostrata totalmente impreparata e incapace di radunare forze sufficienti per fermare l’attacco. Anzi, infuriano le polemiche per gli scatti di alcuni agenti che sembravano fraternizzare con i rivoltosi.
Nel momento dell’assalto, Lula si trovava lontano, nello stato di San Paolo, in visita a zone alluvionate di Araquara. È da lì che il presidente ha firmato il decreto per sancire l’immediato intervento federale del governo di Brasilia e la nomina di Rodrigo Garcia Cappelli quale responsabile dell’operazione.