martedì, 17 Dicembre, 2024
Esteri

L’immane tragedia del popolo iraniano

Il regime degli ayatollah continua a uccidere nonostante le proteste della comunità internazionale

“Papà, sono stato condannato a morte. Non dirlo alla mamma.” Dentro queste parole troviamo tutta la tragedia di un popolo, di giovani, che stanno gridando aiuto al mondo e lo fanno con una corda al collo. Sono le parole che Mohammad Mehdi Karami, 22 anni, ha pronunciato al telefono a suo padre, lo stesso uomo che insieme a sua moglie aveva fatto un video appello per risparmiare la vita del figlio supplicando i vertici di regime in Iran. Ma questo regime non sa cosa sia la pietà, non sa che sangue animi l’umanità, non può saperlo, perché è retto da esseri che si cibano di sangue giovane, di divinità per spargere morte, di potere per distruggere anziché costruire. Un esercito del male che in risposta ai moniti internazionali ha deciso di accelerare le esecuzioni. Così la pietà verso sua madre e i suoi 22 anni la mattina del 7 gennaio penzolavano da una gru, attraverso una corda che stringeva il suo collo; insieme a lui Seyed Mohammad Hosseini, di 26 anni, altra creatura giustiziata, componevano questo sinistro presepe del demonio che non genera nulla, se non aborti di vita che avrebbe dovuto continuare ad essere.

Quanti morti dobbiamo ancora vedere fare vergognare il cielo di essere azzurro? Intanto Khamenei ha accusato i manifestanti di “tradimento” in un discorso di ieri e ha chiesto alle istituzioni governative di continuare i loro rapporti “seri”. Tanta è stata l’indignazione internazionale per le due ultime esecuzioni, sfociata in Italia in raccolta firme e manifestazioni a Napoli, organizzata da Marisa Laurito, e domenica 8 gennaio a Roma, dove abbiamo raccolto la protesta delle migliaia di persone che si sono unite in un corteo che ha attraversato la città da Piazza della Repubblica a Piazza Venezia.

E mentre le proteste domenica si sono alzate in 80 città nel mondo, in Iran il giornalista di 36 anni Mohsen Jafari-Rad si è suicidato dopo la scarcerazione; era stato incarcerati mentre tornava a casa e dopo aver dimostrato la sua identità e di non aver preso parte alle proteste è stato rilasciato, ma l’epilogo del contatto ravvicinato con le bestie di regime ha, purtroppo, comunque la firma della morte, morte sospetta. Come ricordano le parole e le richieste gridate dagli iraniani durante la manifestazione a Roma in sostegno della “donna, della vita, della libertà”: “dal 16 settembre 2022, il giorno dell’omicidio di Mahsa Amini, sono state uccise oltre 500 persone, tra cui 64 minori, e oltre 20.000 persone sono state arrestate. Centinaia di persone, anche minorenni, stanno rischiando la pena di morte, qualora la comunità internazionale spenga i riflettori e decida di guardare altrove. Abbiamo visto l’atrocità della morte di giovani e bambini.

Abbiamo visto l’ultimo video di Majidreza Rahnavard, che ci invitava a cantare dopo la sua morte, prima di essere impiccato con il braccio spezzato, abbiamo visto il corpo di Sephide Ghalandari, immatricolata alla Sapienza, che non ha avuto il tempo di venire a studiare in Italia, perché torturata e uccisa dal regime. Come iraniani ci chiediamo come intende agire la comunità internazionale e l’Italia? Non può esistere trattativa con un regime stupratore e assassino.” Sempre domenica all’ambasciata iraniana a Roma sono state consegnate le 300 mila firme raccolte con la petizione lanciata dalla Stampa per chiedere di salvare la vita a Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre bambini piccoli condannata a morte per aver preso a calci un militare durante una protesta.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani domenica ha detto: “Ho convocato l’ambasciatore chiedendogli di inviare un messaggio a Teheran con il blocco delle condanne a morte. Mi pare che la risposta giunta informalmente vada nella posizione opposta. l’Iran ha superato la linea rossa, il punto di non ritorno, cominciando a eseguire le condanne a morte. Togliere la vita è inaccettabile soprattutto se lo si fa in nome di Dio”. Dall’Iran Nasrin Sotoudeh, avvocato e attivista per i diritti umani incarcerata, ha definito l’esecuzione di Mohammad Mahdi Karmi e Mohammad Hosseini “un omicidio aperto” da parte del Repubblica islamica e dopo essere uscita di prigione per congedo medico, ha scritto sul suo account Facebook: “Mohammed Mahdi Karmi e Mohammad Hosseini sono stati entrambi giustiziati in palese violazione della legge e ignorando il loro diritto ad avere un avvocato scelto. Porgo le mie condoglianze a noi stessi che ci troviamo di fronte a governanti così incompetenti che commettono omicidi aperti per vendicare il grido della nazione.”

Ultima nota di folle orrore è costituita dalle ampie restrizioni e la pressione sulla famiglia per il funerale di Mohammad Mehdi Karmi, mentre le forze di sicurezza hanno sparato contro le persone presenti alla cerimonia dei 40 giorni dalla morte di Mehran Sumak, il manifestante ucciso, a Bandar Anzali. Un video del luogo di sepoltura di Mohammad Hosseini, il manifestante giustiziato, è giunto a Iran International, che mostra che è stato sepolto senza la presenza di persone. Secondo i rapporti, il suo corpo è stato consegnato a suo fratello ed è stato sepolto a Behesht Ali, città di Eshtehard, fila 60, n. 105International, le agenzie di sicurezza non hanno permesso alla sua famiglia di tenere una cerimonia commemorativa e funebre per Kerami nella moschea, e le telecamere di sicurezza sono state installate intorno alla sua casa, e la famiglia e i parenti stretti erano sotto controllo degli agenti di sicurezza e sono stati perquisiti.

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