Il declino demografico è come il cambiamento climatico: si sa benissimo che c’è e quali danni sta facendo e produrrà nel futuro prossimo. Ma nulla si fa per eliminarne o, almeno, correggerne le cause.
La quota degli over 65 anni aumenta ed è pari al 22,8% della popolazione. La brusca diminuzione delle nascite e la fuoriuscita dall’Italia di circa mezzo milione di persone si accentueranno e -secondo uno studio di Bankitalia- nei prossimi 20 anni avremo 1,2 milioni di residenti in meno. Nei prossimi 40 saranno addirittura 5,6 milioni.
Questa miscela, numero crescente di persone anziane, calo demografico, diminuzione dei residenti crea un circolo vizioso che porta a un forte calo della ricchezza nazionale che crollerà del 15%.
Contrariamente alla oscena propaganda anti immigrati, i dati di Bankitalia dimostrano che tra il 2001 e il 2011 il PIL è salito del 2,3%; senza immigrati sarebbe sceso del 4,4%.
Nei prossimi anni gli immigrati preferiranno andare altrove e non Italia e questo aggraverà ancora di più il bilancio negativo della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione.
Insomma, fino a quando la generazione dei baby boomers non sarà arrivata al capolinea, e cioè intorno al 2041, l’Italia rischierà di perdere ricchezza. ameno che non si corra ai ripari.
Una politica demografica è necessaria. Ovviamente non si possono obbligare le nuove coppie a mettere al mondo bambini ma si possono rimuovere gli ostacoli a che questo avvenga. Occorrono delle politiche sociali che facilitino la gestione della maternità senza contraccolpi sul lavoro, una serie di agevolazioni a chi vuol mettere su famiglia, l’allungamento dell’età lavorativa alleggerita-come abbiamo scritto su queste colonne- da un semipensionamento anticipato temperato da lavoro part-time per gli over 60, un massiccio investimento sull’istruzione permanente e un forte recupero della produttività.
È proprio quest’ultimo il terreno su cui l’Italia può effettuare una efficace ripresa, visto il livello basso della produttività e della competitività dell’intero sistema Paese.
Ma questo richiede scelte coraggiose sia nel settore pubblico che in quello privato.
Lo Stato deve aumentare la concorrenza interna, sbaraccando vecchie strutture feudali che frenano le professioni e comportamenti corporativi che peggiorano la qualità dei servizi. La politica deve mettere seriamente mano allo snellimento del Moloch della burocrazia e semplificare la vita ai cittadini e alle imprese. Bisogna investire sull’innovazione in modo massiccio.
Ma anche i privati devono fare la loro parte. Per recuperare produttività il settore privato non deve cercare protezioni o scappatoie per tutelare rendite di posizione.
L’Italia dovrebbe ritrovare lo spirito degli anni Cinquanta e Sessanta e scatenare tutta la sua energia e capacità per tornare ad essere protagonista dello sviluppo.
Solo così si potrà superare il ventennio buio che da qui al 2041 rischia di far precipitare il nostro Paese in condizioni di impoverimento.
Smettiamola di piangerci addosso, guardiamo in faccia la realtà e rimbocchiamoci le maniche. Ma il segnale deve venire dalla politica che oggi, invece, sembra ripiegata su sé stessa, ammorbata dall’egoismo di leader incapaci di grandi visioni e intenti a compiere manovrine di piccolo cabotaggio.