L’attesa per un posto letto in reparto ospedaliero ad alta specializzazione per pazienti complessi, può arrivare anche a 5-6 giorni. È uno degli effetti del “caos” in cui è precipitato il Sistema sanitario nazionale, e in particolare i Pronto soccorso. Ostacoli, denunciano sindacati e organizzazioni di categoria, che compromettono l’assistenza e mettono a rischio malati e medici. “Esattamente come per il boarding negli aeroporti, anche quello nei pronto soccorso è oramai la regola: soprattutto negli ospedali Hub”, spiegano Chiara Rivetti e Pierino Di Silverio, dirigenti nazionali dell’Anaao-Assomed, che sottolineano cosa bisogna fare per uscire da una situazione a rischio. “Sono necessari letti, per acuti e per la post acuzie, assistenza territoriale e personale numericamente sufficiente e soddisfatto. Non altro”.
Gli affanni e i rischi
Ritardi e rinvii si registrano in quelle sedi ospedaliere in grado di fornire servizi diagnostici e terapeutici ad alta complessità. Servizi a cui si rivolgono un numero crescente di persone e di anziani. I ritardi sono un fenomeno estremamente negativo, “diventati una realtà grave e quotidiana”, sottolineano i medici. A rendere più preoccupante la situazione anche il fatto che le Istituzioni non sembrano avere colto questa emergenza, per L’Anaao, le iniziative per gestire il problema, “si sono limitate a documenti ufficiali che ne definiscono il perimetro e la durata massima, fissata a 6 ore. Ma la maggior parte dei pazienti”, evidenziano Rivetti e Di Silverio, “non aspetta 6 ore, bensì dai 2 fino a 5 giorni o oltre”.
In questo clima di affanni e personale carente, spesso per evitare ulteriori guai i pazienti vengono “semplicemente” spostati in altre aree per poi ricadere comunque sui medici dell’ospedale, “perché tutti i reparti lamentano gravi carenze di personale o situazioni di vero e proprio burnout”.
Le proposte inascoltate
Le iniziative affinché queste 6 ore scritte sulla carta diventino reali, sono semplici ma non sono a costo zero. Su questo insiste l’Anaao Assomed che propone da tempo soluzioni praticabili. “Servono più letti per acuti, più letti di lungodegenza, più medici, più territorio”, spiegano Chiara Rivetti e Pierino Di Silverio, “le attese sono conseguenza dei tagli degli ultimi anni e a questi tagli bisogna riparare”. L’Ossociazione di categoria cita il taglio dei posti letto per acuti e lungodegenza. “In Italia dal 2010 al 2020 sono stati tagliati 30.492 posti letto per acuti, con una riduzione del 19%”.
Il taglio maggiore ha riguardato il Molise, la Calabria, la Puglia, la Liguria, Regioni in cui è stato tagliato più di 1 posto letto su 4. “Ma il taglio più pesante, sempre tra il 2010 e il 2020, ha riguardato la lungodegenza, dove c’è stata una diminuzione media nazionale di posti letto che sfiora il 30%”, rivela l’Anaao-Assomed,
“Alcune regioni italiane risultano aver tagliato più posti letto di lungodegenza rispetto alla media nazionale: Puglia (-69%), Lombardia (-54%), Piemonte (-48%), Lazio (-36%), Veneto (- 36%), Emilia Romagna (-31%)”.
Considerando i letti totali, calcolati su mille abitanti si osserva come nel 2010 erano complessivamente disponibili 4 posti letto, mentre nel 2020 tale quota è scesa 3,5 posti letto per mille abitanti.
Patologie e vecchi problemi
Ma chi occupa i posti in ospedale? È l’interrogativo a cui i medici danno una risposta.
“La maggior parte dei pazienti in attesa è rappresentata da anziani con patologie internistiche Il tasso di occupazione di posti letto nei reparti di medicina è del 97,6%”, riferiscono Chiara Rivetti e Pierino Di Silverio, “Va ricordato che il tasso ottimale, per evitare aumento di mortalità e morbidità, viene considerato non superiore all’85%, pur se imprudentemente aumentato al 90% dal Decreto Ministeriale n° 70/2015 sugli standard ospedalieri”.
Il confronto con l’Europa
La spesa per i pazienti a lungo termine ha registrato la crescita più elevata degli ultimi anni, rispetto ad altre aree dell’assistenza sanitaria. Due fattori come l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei redditi che porta con sé una maggiore aspettativa di qualità della vita da parte degli anziani, hanno richiesto un incremento della spesa per i malati cronici.
“Guardando alla spesa per abitante negli ultimi 8 anni, ci sono stati Paesi che hanno incrementato notevolmente la spesa per ‘Long term conditions’.
La Germania: + 65%, l’Irlanda: +39%, la Francia: +24%, l’Austria: +21%. L’Italia ha incrementato del 10% la sua spesa per Ltc, ma continua a collocarsi sotto la media europea e con valori che si collocano ben al di sotto di quelli dichiarati da Germania, Francia, Austria”. Analizzando la spesa in sintesi l’Italia spende per Ltc lo 0,98% del Prodotto interno pro-capite contro una media europea che è pari quasi al doppio di questo valore (1,81%)”.
Assistenza domiciliare carente
Anche per quel che riguarda i lavoratori che assistono pazienti a lungo termine, tipicamente infermieri e operatori socio sanitario, che forniscono assistenza a casa o in strutture residenziali, esclusi gli ospedali, l’Italia, osservano i sindacati, si colloca sotto la media OCSE (5.2) con un tasso di 3,7 ogni mille abitanti.
Il nodo degli accessi impropri
Altro capitolo dei problemi della sanità sono i troppi ricoveri impropri. “Nel 2019 i codici bianchi nei PS italiani sono stati il 13% del totale”, segnala Asdomed, “i Codici verdi hanno invece pesato per il 57%. I codici bianchi, e certamente anche una parte dei verdi, non dovrebbero recarsi in Pronto soccorso e richiederebbero una gestione differente, territoriale”. Per l’Organizzazioni di categoria, “la riforma territoriale tanto decantata è al palo, e il Piano nazionale di ripresa si sta rivelando solo una operazione edilizia”.
Perché mancano i medici
Lo studio dell’Anaao pone in evidenza il problema più grave dell’assistenza del sistema sanitario nazionale, quello della crisi dei medici.
“Il numero di medici ha toccato il suo massimo nel 2009, per poi diminuire incessantemente fino al 2020, riducendosi di 4.800 unità”, spiegano Chiara Rivetti e Pierino Di Silverio, “In realtà, su questo dato ha inciso positivamente il reclutamento di personale medico avvenuto nel 2020 a causa della pandemia da Covid 19 che ha visto l’immissione di circa mille medici, perché se si guardasse il trend fino al 2019, la diminuzione di personale medico sarebbe ancor più accentuata (5.800 unità).
Nel 2021, ben 2886 medici ospedalieri, il 39% in più rispetto al 2020 ha deciso di lasciare la dipendenza del Sistema sanitario nazionale proseguire la propria attività professionale altrove”. Le fughe maggiori si sono registrate per gli specialisti coinvolti nei turni di Pronto soccorso, come urgentisti, internisti e chirurghi.
Pazienti complessi e anziani
Il Pronto soccorso rimane inoltre la barriera che deve fare il primo intervento e una selezione delle condizioni del paziente. Nel 2019 gli accessi al Pronto soccorso distinti per fascia di età fanno emergere che il 28% era costituito da pazienti con età maggiore di 65 anni. “Questa percentuale nel 2020 è salita al 30,5%”, spiegano i dirigenti sindacali, “Dopo i 65 anni di età la degenza media sale, dal valore medio nazionale di 8 giorni a quasi 9, che per gli ultra-85enni sale a 11,3 giorni”.
Basta soluzioni al ribasso
Quello che contestano i medici del servizio pubblico, che saranno in sciopero il 16 dicembre a Roma con una manifestazione nazionale, sono le poche risorse economiche dedicate alla sanità. “Le briciole
economiche non risolvono il problema ma cercano solo di alimentare sterili e strumentali guerre tra poveri”, sottolineano Chiara Rivetti e Pierino di Silverio, “il problema non è il pronto soccorso ma il sistema di emergenza di cui la crisi del pronto soccorso non è che l’effetto tanto scontato quanto catastrofico. Per avere più personale è necessario che il lavoro medico sia gratificato, sotto il profilo professionale ed economico, meno rischioso, con carichi di lavoro ridotti e sia ottimizzato l’intero sistema di presa in carico del paziente”. “Per affrontare i ritardi”, concludono i dirigenti del’Anaao-Assomed, “sono necessari letti, per acuti e per la post acuzie, assistenza territoriale e personale numericamente sufficiente e soddisfatto. Non altro”.